Ecco cosa si rischia quando non lo si fa
Roma, 16 ott. (askanews) – Sono oltre 60mila i marchi registrati ogni anno. L’avvocato Angelo Cardarelli, esperto del settore, spiega cosa può capitare a un’azienda che non tutela il proprio logo. Occhio alle recenti richieste fraudolente di pagamento da parte di falsi Enti ministeriali… A un occhio poco attento può sembrare una questione di scarsa rilevanza. Si pensa più ai bilanci o al marketing ma si sottovaluta la tutela del proprio marchio che, a lungo andare, può creare problemi di grande rilevanza. “Eppure -spiega l’avvocato Angelo Cardarelli, uno dei massimi esperti in materia- il brand ha maggiore valore e tutela se legalmente registrato. Altrimenti si può pure rafforzarlo in termini reputazionali ma poi il lavoro rischia di non avere l’effetto desiderato proprio perché non totalmente protetto dal punto di vista giuridico. Il primo passo dunque è quello della registrazione, un atto necessario per difendere il segno distintivo della propria attività”.
La registrazione di un marchio non è obbligatoria, ma è certamente necessaria per poter esercitare i diritti che la legge riconosce al suo titolare, quindi senza preoccupazioni circa le altrui pretese o richieste. Non farlo vuol dire esporre la propria azienda e il proprio nome al rischio di atti di contraffazione illegittimi, i quali sarebbero dannosi sia per la reputazione che per l’immagine dell’imprenditore. “Una volta depositato, il marchio – sottolinea Cardarelli- deve essere costantemente monitorato, controllando che non vengano successivamente depositati marchi identici o simili al proprio. I danni che possono derivare a un’impresa dalla copia non autorizzata del proprio brand possono essere enormi. Un potenziale acquirente, per esempio, si potrebbe trovare a interagire con un terzo e, magari, ottenere un servizio scadente che potrebbe poi indurlo a non acquistare più dall’impresa originale”.
La registrazione, dunque, è un atto di difesa indispensabile, che tra le altre- permette di estendere la portata difensiva che ne deriva anche a segni ulteriori magari non registrati e/o registrabili. Lo dimostra una vicenda che di recente ha destato l’interesse degli operatori del settore. Un’azienda siciliana, composta da due soci, si è trovata al centro di una questione spinosa: “Il marchio -ricorda Cardarelli che ha difeso il titolare- risultava di proprietà del socio di minoranza che lo aveva concesso in uso all’azienda di cui deteneva comunque una quota significativa. A seguito di dissidi derivanti da una differente visione imprenditoriale, quest’ultimo è stato costretto a inibirne successivamente l’utilizzo. Ne è nata una vertenza culminata con un procedimento cautelare che, conclusosi vittoriosamente, ha permesso di estendere la tutela non solo al marchio in sé, ma, proprio grazie alla registrazione di tale segno principale, a tutti gli ulteriori segni distintivi allo stesso associabili, anche non registrati. In forza di tale decisione la controparte è stata, costretta a cessare immediatamente l’utilizzo del marchio registrato e/o della denominazione come ad esempio ditta, ragione sociale, insegna, dominio della e-mail aziendale e del sito web, divise dei dipendenti et similia. Ma non solo, è stato inibito alla controparte anche l’utilizzo della ‘propria’ denominazione sociale la quale era rappresentata dall’acronimo più sostantivo del titolare del marchio registrato poiché considerato idonea a ingannare e fuorviare il cliente finale. In aggiunta, si è riusciti a ottenere la condanna di controparte al pagamento di una penale per ogni giorno di ritardo, fissata in 300,00 euro al dì”.
Questo è molto importante poiché, con tale pronuncia confermata in sede di reclamo, il Tribunale, oltre a dare importanti chiarimenti in ordine alla conclusione dei contratti di licenza per facta concludentia, ha riconosciuto immediata difesa non solo all’imprenditore danneggiato ma anche all’intero mercato a cui questi si rivolge. In altre parole, i giudici avallando le tesi difensive sviluppate da questa difesa nei diversi atti, hanno dimostrato una spiccata sensibilità nella tutela dell’affidamento che un normale cliente può riporre sull’effettivo esecutore della prestazione richiesta, difendendolo da pratiche commerciali non corrette e volte a sfruttare l’altrui notorietà di segni distintivi anche non registrati.
Da qui, l’importanza di registrare il proprio brand anche perché, secondo Unioncamere, in Italia vengono registrati circa 60mila marchi (63mila nel 2023) e questo dà il senso della crescente attenzione da parte degli imprenditori. Ma con un’ulteriore annotazione: “Nei primi mesi del 2024, sono state recapitate -conclude Cardarelli- richieste fraudolente di pagamento provenienti da diversi indirizzi e-mail ingannevoli con domini come @minister.com, @ufficio-mimit.com e @marchi-mimit.com. Prestate attenzione perché si tratta di richieste fraudolente che non provengono né dal MIMIT (Ministero delle imprese del Made in Italy) né dall’UIBM, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi”.