Nello spazio di Pirelli una mostra poetica dell’artista uzbeka
Milano, 11 set. (askanews) – Una dimensione poetica che sgorga dalle immagini in movimento, dal paesaggio, perfino dall’ambiente postindustriale che accoglie le opere. Che Pirelli HangarBicocca a Milano sia uno spazio potente lo sappiamo da tempo, ma ogni volta è affascinante vedere come le mostre migliori riescano a farlo risuonare in profondità. Accade anche con l’antologica dedicata a Saodat Ismailova, regista e artista uzbeka, cui è dedicata l’esposizione “A Seed Under Our Tongue”, curata da Roberta Tenconi.
“Nei suoi film – ha detto la curatrice ad askanews – utilizza sia suo montato originale, sia materiale d’archivio, in un editing assolutamente libero, con questa immagine di grande poesia, ma che tocca anche temi molto urgenti e attuali.dallo sfruttamento delle risorse ambientali, ma anche dalle imposizioni dei sistemi di potere politici, lei ha vissuto il crollo dell’Unione Sovietica, ma anche tutto il periodo precedente di dominio sulla regione. E sviluppa poi questi grandi narrazioni dei suoi film in sculture e installazioni”.
I grandi schermi raccontano l’Asia Centrale, i paesaggi naturali e umani, parlano di una tigre oppure dei fiumi, ma è la stessa forma delle immagini in movimento di Ismailova a conferire una ampiezza monumentale alle storie. “L’Uzbekistan non ha alcun accesso al mare – ci ha spiegato l’artista – dobbiamo attraversare due nazioni e abbiamo una carenza d’acqua molto seria, non sappiamo cosa succederà nei prossimi 50 anni nella regione. Quindi per noi l’acqua è sacra, significa tutto e io credo che questo sia alla base dell’attenzione speciale anche per il corso dei fiumi”.
L’ecologia si fonde con il mito, le istanze contemporanee si ammantano di sfumature leggendarie, questo genera la poesia della mostra, che nasce dalla delicatezza con cui l’artista sa gestire l’apparente contrasto. “Il titolo della mostra – ha aggiunto Tenconi – è anche un po’ la metafora di tutta la mostra, si riferisce a questa leggenda molto diffusa in Asia Centrale di un seme di dattero custodito da un uomo, Arslanbob, un mistico, qualcuno dice per anni, altri per secoli, fino a quando trova un degno successore e lo dona a questa persona e questa persona col seme fonda quella che oggi la foresta di noci che ha il nome di Arslanbob, quindi questa idea anche di una di una trasmissione, ma anche della trasformazione che è insita in qualsiasi sistema che tramanda qualcosa”.
“Io sono una filmaker, tutto parte da questo – ha concluso Ismailova – ma ho anche avuto una formazione teatrale e amo lavorare nello spazio. Il mezzo della scultura è sempre legato ai film, non sono sculture in quanto tali, ma si tratta di oggetti che provengono dai miei film”.
Alla fine la mostra potrebbe anche essere considerata una lunga lettera d’amore, forse a una terra, forse alla natura, forse perfino a certa umanità. Non ci sono riposte giuste, per fortuna, ma la sensazione è che un seme sia stato gettato e, da qualche parte, germoglierà. (Leonardo Merlini)