“Dobbiamo affrontare cosa vuol dire democratizzare il potere computazionale”
Roma, 22 ago. (askanews) – Con l’intelligenza artificiale “stiamo cambiando le catene di potere all’interno del mondo. Parlare di intelligenza artificiale non è più solo parlare di tecnologia, ma parlare di una questione di potere, quindi di una questione che ha a che fare con la nostra coesistenza, con quella cosa così fragile e preziosa che è la nostra democrazia. Ecco perchè improvvisamente l’intelligenza artificiale si è mossa dai tavoli degli ingegneri ed è arrivata ai tavoli istituzionali: la grande domanda, essenziale, è come addomesticare questa tecnologia in un sistema sociale che crede così tanto nelle mediazioni di potere democratiche”. Così padre Paolo Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, esperto di bioetica, etica delle tecnologie e human adaptation, membro del New Artificial Intelligence Advisory Board dell’ONU, presidente commissione per l’Intelligenza Artificiale, intervenendo al Meeting di Rimini al panel “L’essenza dell’intelligenza artificiale. Strumento o limite per la libertà?”.
“ChatGpt e l’intelligenza artificiale – ha spiegato – sono la seconda grande sfida. Perchè l’arrivo dell’intelligenza artificiale sfoca dove si compiono i processi computazionali: non sappiamo più se accadono nel nostro potere computazionale locale o in un potere computazionale centralizzato che si chiama cloud. Questo è un problema: ora il potere computazionale centralizzato sta aspirando tutte le cose che abbiamo digitalizzato e chi detiene quel potere detiene tutto il potere. Allora la domanda è: per vivere l’essenziale dobbiamo affrontare cosa significa vivere una realtà definita dal software del quale abbiamo solo una licenza d’uso, non siamo proprietari, dobbiamo affrontare cosa vuol dire democratizzare il potere computazionale”, ha concluso padre Benanti.