L’incontro alla kermesse di Rimini

Roma, 20 ago. (askanews) – Smart working, flessibilità, grandi dimissioni, riduzione del numero: la pandemia di COVID-19 ha profondamente trasformato il nostro modo di vivere e lavorare, portando alla ribalta nuove domande sul senso e sul valore del lavoro nella nostra esistenza quotidiana. Se ne è parlato all’incontro “Il valore del lavoro: una ricerca urgente”, organizzato al Meeting di Rimini dove hanno portato la propria testimonianza imprenditori e cooperatori.

“Negli ultimi anni anche prima della pandemia c’è stato un cambiamento del peso che il lavoro nella vita di ciascuno di noi e del peso che il lavoro ha nel definire chi siamo e qual è il nostro ruolo, qual è la nostra identità sociale – ha spiegato l’amministratore delegato Illycaffè, Cristina Scocchia -. Certamente la pandemia, con lo smart working, ha permesso a tanti di sperimentare cosa volesse dire conciliare meglio la vita professionale e quella personale” e ora “non solo i giovani ma anche tutte le generazioni hanno iniziato a chiedere una maggiore flessibilità, di poter conciliare meglio il mondo lavorativo e il mondo e personale”.

Dal 2023, ha ricordato l’executive director Institutional Affairs Intesa Sanpaolo, Jacques Moscianese, listino ha “stabilito 120 giorni di smartworking in un anno, una flessibilità di ingresso in azienda dalle 7 alle 10 e la ‘settimana corta’, che consente di lavorare quattro giorni su sette. Quando abbiamo annunciato queste novità abbiamo ricevuto una grande quantità di curricula”.

Rispetto a prima “non è cambiata la quantità di lavoro: prima la giornata era di 7,5 ore adesso è diventata di 9 ore su quattro giorni anziché cinque. Posso dire che dopo due anni dall’avvio di questa rivoluzione e a quattro anni dall’inizio della pandemia i risultati sono gli stessi di quelli che avevamo di quando il lavoro si faceva in maniera normale quando si andava in ufficio”.

Il presidente e amministratore delegato di Teddy Group, Alessandro Bracci, ha ricordato ha proposta che l’azienda fa ai neo assunti, che si basa sul “sogno” del fondatore. Che è quello di “costruire una grande azienda globale che guadagni molto, per ingrandirla, per creare occupazione” e fare in modo che “una fetta degli utili venga destinata tutti gli anni a opere di carità in Italia e nel mondo”. Il sogno di “costruire un’azienda in cui giovani e meno giovani attraverso il lavoro possano trovare un senso alla loro vita”. Il sogno di “costruire un’azienda in cui ogni cinque persone cosiddette ‘normali’ lavora una persona che ha dei problemi e che le cinque persone cosiddette normali possono aiutare la persona che ha dei problemi a realizzarsi”. Infine il sogno di “creare una classe dirigente competente coraggiosa proiettata al futuro che possa trasmettere questi valori a tutti nel tempo”.

“Dall’Europa arriva un richiamo forte al senso dell’economia sociale come quello di un’economia che deve riconnettere i territori, aiutare a tenere insieme la coesione sociale – ha spiegato il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini -. In queste cose ci sta il senso più autentico di un lavoro a misura di donna e di uomo che genera valore vero di convivenza e di partecipazione”.

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