Se ci sarà maggioranza assoluta in plenaria sarà grazie ai Verdi

Strasburgo, 17 lug. (askanews) – Non è possibile prevedere i risultati del voto cruciale con cui domani la plenaria del Parlamento europeo deciderà se confermare o no il secondo mandato di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, ma è possibile fare un po’ di calcoli basati sulle tendenze emerse nelle diverse forze politiche nazionali ed europee nelle ultime settimane e negli ultimi giorni.

Va sottolineata, comunque, una tripla avvertenza: che il voto è segreto, e dunque non c’è controllo possibile sulla disciplina di gruppo o di delegazione nazionale; che alcune delegazioni o eurodeputati singoli potrebbero cambiare idea, in un senso o nell’altro, dopo il discorso sulle linee programmatiche del programma per i prossimi cinque anni, che von der Leyen presenterà domani prima del voto; e che alcuni gruppi e delegazioni non hanno ancora dato alcuna indicazione chiara, annunciando che lo faranno solo domani prima del voto.

La maggioranza assoluta necessaria per la conferma di von der Leyen (361 voti su 720 seggi totali) sarebbe matematicamente acquisita se i tre gruppi politici “europeisti” che la sostengono, (Ppe, 188 seggi, Socialisti e Democratici, 136 seggi, Liberali di Renew, 77 seggi) potessero garantire il voto compatto di tutti i loro eurodeputati, che sono in totale 401.

Ma in realtà i 40 voti in più della soglia richiesta non sono affatto garantiti. Si calcola, anzi, che saranno circa il 15% i “franchi tiratori” nell’insieme dei tre gruppi. Questo, d’altra parte, è ciò che successe la volta scorsa, quando von der Leyen ottenne solo nove voti in più della maggioranza assoluta, nonostante avesse l’appoggio degli stessi tre gruppi della cosiddetta “maggioranza Ursula”.

Lo stesso gruppo Ppe che ha affidato fin dall’inizio a von der Leyen il ruolo di “Spitzenkandidatin” (candidato guida), non è in grado di assicurarle l’appoggio di tutti suoi membri: contro di lei potrebbero votare i francesi dei Républicains (6 seggi), gli austriaci dell’Ovp (5 seggi), gli sloveni del Sds (4 seggi).

Tra i Liberali di Renew, i più critici sono i tedeschi del Fdp (8 seggi), contrari alla messa al bando dei motori a combustione nel 2035, e gli irlandesi del Fianna Fáil (4 seggi), che rimproverano a von der Leyen il suo sostegno incondizionato a Israele per la sua reazione contro Gaza dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre. In forse anche anche gli slovacchi del Partito progressista Ps (6 seggi) e i portoghesi di Inziativa liberale (2 seggi).

Poco chiaro è poi il quadro riguardo al gruppo dei Socialisti e Democratici (S&d), che ufficialmente mostra compattezza ma in cui ci si può aspettare diverse defezioni singole o a livello di qualche delegazione nazionale.

Scontato è invece il voto contrario degli altri tre gruppi: da una parte la Sinistra (46 seggi, compresi gli otto del M5s), dall’altra i due nuovi gruppi di destra: i Patrioti per l’Europa (84 seggi) e l’Europa delle Nazioni sovrane (Esn, 25 voti).

Von der Leyen, che è perfettamente al corrente di questa situazione e fin dall’inizio ha cercato di allargare la sua maggioranza, si è trovata di fronte a un bivio.

La prima possibilità, caldeggiata soprattutto dalla delegazione italiana del Ppe, era quella di chiedere voti alla frazione considerata più moderata e meno anti-europeista del gruppo dei Conservatori e Riformisti (Ecr, 74 seggi), ovvero le delegazioni degli italiani di Fratelli d’Italia (24 seggi), dei cechi dell’Ods del premier Petr Fiala (3 seggi) e dei belgi fiamminghi del N-Va (3 seggi), senza neanche tentare, ovviamente, di coinvolgere le altre delegazioni del gruppo, più anti europee o meno rispettose dello stato di diritto.

La seconda opzione era quella di rivolgersi al gruppo dei Verdi (53 seggi), che fin dall’inizio si è mostrato disponibile a sostenerla, anche se a certe condizioni apparentemente non difficili da rispettare (in particolare l’attuazione del Green Deal senza rimettere in discussione la legislazione e gli obiettivi già approvati).

Le due opzioni apparivano nettamente in alternativa l’una all’altra: un accordo con l’Ecr avrebbe rimesso in dubbio il sostegno dei liberali e dei socialisti, contrari ad allargare a destra la maggioranza; il sostegno dei Verdi rischiava invece di alienarle l’appoggio della destra del Ppe, a partire dalla sua componente italiana (9 seggi).

Ma sul lato dell’Ecr si aspetta ancora, alla vigilia del voto, la decisione che gli eurodeputati di Fdi hanno annunciato prenderanno domani, dopo aver sentito Giorgia Meloni (che potrebbe avere interesse, come premier italiana, a mantenere buoni rapporti con von der Leyen, se verrà confermata). Inoltre, l’incontro di ieri della presidente di Commissione con gli eurodeputati del gruppo sembra essere andato piuttosto male, mentre pare, al contrario, che sia andato abbastanza bene quello che c’era stato in precedenza con i Verdi.

Alla fine, la scelta evidente di von der Leyen, seppure non esplicitata ufficialmente, è stata quella di cercare i voti dei Verdi, che hanno tradizionalmente la più compatta disciplina di gruppo di tutto il Parlamento (l’unica delegazione che sembra ancora avere dubbi è quella francese, che dispone di 5 seggi). La maggioranza assoluta appare ora più probabile, grazie ai Verdi, ma anche così, la presidente della Commissione non è affatto in una “comfort zone”. Il voto rischia di essere davvero serrato.

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