Gli esperti suggeriscono che non si tratti

Roma, 10 lug. (askanews) – La campagna anti-corruzione voluta dal presidente cinese Xi Jinping non ha risparmiato, in questi anni, anche alti papaveri della nomenklatura. Tuttavia, la vicenda che ha portato alla sbarra recentemente due ex ministri della Difesa e membri del Politburo, il sancta sanctorum del Partito comunista cinese, appare curiosa e potrebbe suggerire il fatto che uno di questi, Wei Fenghe, potrebbe essersi compromesso con una forza ostile, forse straniera. Lo racconta oggi il South China Morning Post.

Wei e Li Shangfu sono stati ufficialmente destituiti il 27 giugno scorso e quasi certamente dovranno ora affrontare un doloroso procedimento legale che, già in alcuni casi recenti, è sfociato in gravi condanne, tra le quali quella a morte.

I dettagli delle accuse che sono piovute nei confronti degli alti esponenti politici e militari non sono stati forniti. Tuttavia la formulazione utilizzata per definire la colpa di Wei ha attirato l’attenzione degli esperti di cose cinesi, perché è dissimile da quella solitamente utilizzata peri casi di corruzione. In cinese tale formulazione si legge “zhongcheng shi jie”, cioè Wei “è stato sleale e ha perso l’onore della propria funzione”.

La seconda parte della formula – “shi jie” – ha una storia particolare nella giurisdizione cinese, perché indicava una particolare colpa nella Cina classica, attribuibile agli studiosi-letterati che facevano da spina dorsale del potere imperiale. Nel IV secolo a.C. lo “jie” era uno scettro di bambù o di bronzo che veniva affidato ai funzionari per rappresentare l’autorità imperiale. Invece “shi” è un verbo che vuol dire “perdere”. Quindi “shi jie” voleva dire “perdere lo scettro”. Durante la dinastia Song (X-XIII secolo), invece, la stessa formula veniva usata per indicare il comportamento allora deprecato delle vedove che osavano risposarsi,

Il sospetto avanzato dagli esperti di cose cinesi, ascoltati dal SCMP, è che questa particolare formula sia stata utilizzata in maniera eufemistica per indicare un tradimento e la compromissione con una forza ostile.

Di certo, Wei è l’unico indagato dall’onnipotente Commissione centrale per l’ispezione di disciplina, il braccio armato della campagna anticorruzione, almeno nell’ultimo decennio. Uno storico, che ha chiesto di restare anonimo, ha ricordato a SCMP un altro caso famoso in cui l’accusa fu “shi jie”, quello di Xiang Zhongfa.

Xiang era segretario generale del Partito comunista, quando fu catturato dai nemici del Kuomintang nella guerra civile. Prima di essere giustiziato, tradì il Partito spifferando ai suoi carcerieri tutta la rete clandestina comunista a Shanghai. Pechino considera questo ex alto esponente come una vergogna.

Un altro esponente famoso incorso nella stessa accusa fu Gu Shunzhang, capo della rete di spionaggio del Partito, che disertò a vantaggio dei nazionalisti di Chiang Kai-shek, mettendo in pericolo l’esistenza stessa della formazione che poi fonderà la Repubblica popolare cinese.

Questo fa pensare agli esperti che le accuse di Wei vadano oltre un semplice caso di tangenti, mentre quelle di Li sono gravi, ma più consuete.

Al momento, è impossibile dire nello specifico quali siano le accuse nei confronti di Wei. E’ chiaro che però si tratta di qualcosa di grave. Il generale era uomo potente, il primo ufficiale promosso ai massimi gradi dallo stesso Xi pochi giorni dopo essere salito al potere nel 2012. Un esponente militare strettamernte legato al presidente, il che fa pensare che la sua caduta rovinosa sia motivata da una situazione percepita come molto grave.

Alfred Wu, professore associato alla Lee Kuan Yew School of Public Policy dell’Università Nazionale di Singapore, ha detto al SCMP che il linguaggio suggerisce un rapporto con l’esterno di Wei. “La parola ‘shi jie’ non è applicabile quando il CCDI descrive solo comportamenti criminali che hanno causato danni interni all’interno del partito o all’interno della Cina,” ha detto Wu.

L’accusa nei confronti di Wei, tra l’altro dice che l’alto ufficiale ha “tradito la fiducia” della leadership del partito e della Commissione militare centrale, “inquinando seriamente l’ambiente politico dell’esercito e causando grandi danni alla causa del partito, alla difesa nazionale e alla costruzione militare, così come all’immagine dei suoi superiori”.

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