Orban lavora a nuovo gruppo di destra e vuole ‘sfilarle’ il Pis
Bruxelles, 28 giu. (askanews) – Giorgia Meloni lo ha spiegato bene ieri notte al termine del Consiglio europeo: la decisione di astenersi su Ursula von der Leyen (votando contro Antonio Costa e Kaja Kallas) è stata decisa “nel rispetto delle diverse valutazioni” – ovvero delle divisioni – dei partiti della maggioranza. In effetti, se ce ne fosse stato bisogno, il voto sui top jobs ha mostrato con nettezza le tre diverse posizioni che convivono nell’esecutivo.
La vicenda delle nomine ha rinvigorito gli attacchi all’Ue di Matteo Salvini. Il leader della Lega grida a un “colpo di Stato” a cui “la democrazia ci impone di reagire con tutti i mezzi possibili”. Per questo, annuncia, “come Lega stiamo lavorando per un grande gruppo alternativo che porti nei palazzi di Bruxelles la voglia di cambiamento che milioni di italiani e di europei hanno chiesto con il voto”. Nella convinzione leghista che questa Commissione “avrà vita breve”.
Su ben altra linea Forza Italia, che fa parte del Ppe e che quindi avrebbe auspicato un diverso voto. Per Antonio Tajani quelli di Salvini “sono giudizi politici, non è il mio linguaggio” e comunque “assolutamente non influiscono sul peso dell’Italia” a livello europeo. Il ministro degli Esteri precisa che “la trattativa” sulle nomine “la fa il presidente del Consiglio per conto dell’Italia non per conto delle forze politiche che sostengono il Governo”. Tajani – secondo cui “non c’è nessun isolamento” dell’Italia – ha anche ribadito di non credere “che nessuno pensi in Italia che al nostro Paese non spetti un portafoglio di grande importanza e la vicepresidenza della Commissione europea, cosa che è sempre accaduta tranne che con Gentiloni”.
Da parte sua Giorgia Meloni, nella doppia veste di presidente del Consiglio e di leader di Fdi e dei Conservatori di Ecr, anche ieri sera ha rimarcato tutta la sua contrarietà per “metodo e merito” di una scelta “sbagliata” a cui ha detto di no “per rispetto dei cittadini”. Ciò nonostante con von der Leyen la porta resta aperta e non potrebbe essere altrimenti visto che la premier dovrà trattare con lei le deleghe da assegnare al commissario italiano. La presidente del Consiglio vuole un ruolo “di peso”, magari una vicepresidenza esecutiva, anche se queste saranno presumibilmente tre e riservate a popolari, socialisti e liberali.
Certo Meloni da ieri appare un po più debole, soprattutto per i movimenti che stanno avvenendo nel settore destro del Parlamento di Strasburgo. Il leader (ex?) amico Viktor Orban sta organizzando un nuovo gruppo di populisti di destra e sta lavorando per ‘sfilare’ ai Conservatori i polacchi del Pis, che contano una nutrita pattuglia di 20 eurodeputati, proponendosi come nuovo polo di attrazione. Se l’operazione riuscisse il peso di Ecr sarebbe ridimensionato. Per questo Meloni è corsa ai ripari e sono in corso i contatti con l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki per far rientrare l’ipotesi di separazione. A giocare a suo favore c’è però la necessità di von der Leyen di trovare voti fuori dalla maggioranza per avere il via libera del Parlamento il prossimo 18 luglio. Contando che viene calcolata una percentuale di un 10-15% di franchi tiratori, la presidente designata – secondo i calcoli del suo staff – ha bisogno di una cinquantina di voti per stare tranquilla. Andrà dunque – senza accordi formali – a pescare tra i Verdi (che paiono ben disposti) ma anche i parlamentari di Fdi sono obiettivi ‘appetibili’. E su questo può puntare Meloni per strappare il migliore accordo possibile.