Della trilogia è il più delle volte il Rigoletto l’opera preferita dagli strumentisti. Dall’ 8 al 10 marzo, alle ore 18,30, il sipario del teatro dell’Opera di Łodzi, si alzerà sul buffone gobbo.
Sul podio Jacopo Sipari di Pescasseroli, alla testa dell’Orchestra dell’opera e del coro. Il quartetto avrà le voci di Mateusz Michałowski, Dawid Kwieciński, Aleksandra Borkiewicz-Cłapińska e Bernadetta Grabias. La regia è firmata da Paolo Bosisio
Della celebrata trilogia verdiana Rigoletto è l’opera preferita dalla maggior parte dei musicisti. Nessun’altra opera presenta un equilibrio così perfetto fra elementi lirici e drammatici; nessun’ altra è così ben proporzionata, così ricca di idee nitidamente concatenate e collegate organicamente al tutto.
Certo, doveva passare molto tempo prima che Verdi la superasse nelle opere a venire, in quella densità inventiva così organizzata da ingannare il tempo empirico degli orologi. E’ questa l’opera che dall’8 al 10 marzo andrà in scena all’ Opera di Łodzi in Polonia, sulla quale leverà il sipario alle ore 18,30, diretta da Jacopo Sipari di Pescasseroli, sul podio dell’ Orchestra e del Coro preparato da Maciej Salski e il corpo di ballo coreografato da Bogumiła Szaleńczyk, del Teatru Wielkiego w Łodzi per la regia di Paolo Bosisio.
Un’edizione assai rispettosa della migliore tradizione nelle scelte musicali e registiche, quella che sarà ripresa sul secondo palcoscenico della Polonia, in cui risaltano, tuttavia, scelte interpretative e soluzioni sceniche importanti a partire dai costumi splendidi di Zuzanna Markievicz, ispirati al Rinascimento italiano, e le scene di Domenico Franchi.
La storia è imperniata sul conflitto emotivo tra la posizione pubblica di Rigoletto come buffone ufficiale di corte e la sua vita privata di padre attento e dedito, ma clandestino.
La dicotomia interiore del personaggio del titolo è resa sia musicalmente che nella caratterizzazione psicologica in tutto lo spessore tragico della sua condizione umana: buffone ma triste, rancoroso e provocatore ma dolorosamente afflitto, una personalità contrastata e proprio per questo così umana.
Per la musica il grande interrogativo è: come si fa a rappresentare artisticamente ciò ch’è deforme e infame senza che lo stile divenga esso stesso deforme e infame? Ecco l’abisso che separa Verdi da Hugo, il teatro musicale dal teatro di parola.
“E’ la prima opera non di Puccini che dirigo in quest’anno speciale – ha dichiarato il M° Jacopo Sipari – e mi sembra strano. E’ un’opera che conosco da bambino, anche se non è l’opera verdiana che amo maggiormente. Ottima orchestra questa del secondo teatro polacco, come d’altronde il cast scelto ed è forse il momento, dato l’empatico climax, di tentare qualcosa di nuovo, d’istintivo, che guardi oltre Verdi, per questo Rigoletto”.
Nel teatro musicale la forza di un elemento simbolico muta radicalmente il rapporto fra creazione e creatore, da un lato, fra creazione e chi tale creazione deve contemplare, dall’altro.
Non consideriamo ancora l’anima paterna di Rigoletto, fremente insieme e solenne: questa si scopre solo a metà del primo atto. All’inizio abbiamo una musica asimmetrica, dissonante, volgare: in certi punti essa mima lo stesso incedere zoppo del gobbo.
Quando, nel primo atto del Rigoletto, Monterone appare (“Ch’io gli parli!”), l’orchestra sviluppa asimmetrici trochei cromatici, schizzando la precisa immagine di Rigoletto che strascicando la gamba s’avvicina al vecchio irato prima d’insultarlo coram populo.
Verdi possiede una sintesi e una sicurezza stilistica che basta il “declamato” del giullare, “Voi congiuraste contro noi, signore”, per schizzare il grottesco unitamente all’orrido. La parte del protagonista che avrà la voce di Mateusz Michałowski, resta la più grande mai scritta per un baritono spinto, tale da esigere ogni cambio di registro emotivo di cui la voce è capace. Essa è, certo, impietosamente spinta verso l’acuto, non tanto negli “a solo”, quanto nei duetti con Gilda che richiedono assoluta bellezza di timbro.
La nuova dimensione del “comico” ha consentito a Verdi di caratterizzare in modo unico sia Gilda, che avrà la voce di Aleksandra Borkiewicz-Cłapińska, che il Duca di Mantova, che avrà quella di Dawid Kwieciński. La prima è un soprano lirico leggero, infantile, semplice, vergine di ogni egoismo (“O buona figliola” esclamerà quando Maddalena annuncia il proposito di far fuggire il Duca), mentre il secondo è un compendio di fascino spietato ed elegante, nobile solo quando è frustrato.
Fra i comprimari, Maddalena (Bernadetta Grabias) è un personaggio appena sbozzato che come individuo emerge soltanto nel quartetto; d’altra parte Sparafucile (Rafał Pikała) è una creazione di straordinaria efficacia: il suo humour tenebroso e sardonico, unito al vigore del tratto, rende la sua parte del tutto diversa dal ruolo di basso “vecchio” o “eremita”, caro all’opera italiana.
Questa funzione è svolta da Monterone (Robert Ulatowski), il quale, pur essendo baritono, è il monumento del basso comprimario. Ad ogni apparizione, la sua è la “Voce di Dio”. Infine, c’è il coro con le sue tre teste, Borsa (Marcin Ciechowicz), Marullo (Andrzej Kostrzewski), il Conte di Ceprano (Andrzej Staniewski) con la contessa (Joanna Śmiałkowska), pieno d’infinita malizia, è perciò pericoloso, rappresenta una corrente nel tessuto musicale e drammatico dei primi due atti, mentre a completare il cast Ewelina Dachowska, il paggio della contessa e Romuald Kisielewski, un usciere di corte.
Ancora una volta, sembra che la musica si faccia “altro da sé”; e invece nel Maestro italiano questo coincide con la più severa forma musicale. In Rigoletto ci si potrebbe intravvedere lo stesso Verdi: come l’autore stesso, che per tutta la vita si è sentito diverso, quando povero aveva un talento straordinario per la musica e quando da famoso continuò a sentirsi non accettato, emarginato dai suoi compaesani che non accettavano la sua seconda moglie, si ritira in campagna perché solo tra i contadini riesce a trovare pace e riesce a sentirsi al riparo, sicuro, protetto dalla malvagità insita nell’animo umano, così Rigoletto, il “toccato dalla natura” farà per sempre parte dei refusés.
Una regia che lascerà intuire che non c’è mai amor vero nel duca, amicizia nei cortigiani, e che in fondo anche il rapporto tra padre e figlia non è cristallino, la stessa Giovanna (Olga Maroszek), si fa corrompere senza esitazione, pur essendo la vera custode di Gilda. Nessuno getta la maschera, solo Gilda davanti alla morte. È un mondo in cui non ci si può più affidare a Dio anche se i personaggi tante volte lo invocano, è un mondo senza trascendenza ove ognuno è dolorosamente rimandato a se stesso e ai suoi fantasmi.
Grazie al reticolo musicale creato dal motto della maledizione, nelle sue implicazioni metriche e armoniche, Verdi scavalca di slancio ogni censura ponendo in enfasi il concetto che stava alla base del suo dramma.
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