Di Franceschielli e Varese, su autoritarismo Putin dal 2000 a oggi

Roma, 28 feb. (askanews) – A pochi giorni giorni dalla morte di Aleksej Navalny (16 febbraio 2024) e in concomitanza con le elezioni presidenziali russe, che si tengono dal 15 al 17 marzo 2024, Altreconomia porta in libreria un saggio importante: “La Russia che si ribella. Repressione e opposizione nel paese di Putin”, scritto da due profondi conoscitori, e studiosi, della società russa: Maria Chiara Franceschelli, dottoranda della Scuola Normale Superiore di Pisa, e Federico Varese, professore di Sociologia a Sciences Po, Parigi, e Senior Research Fellow del Nuffield College, Oxford.

Dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, ma anche ben prima, molte persone si sono chieste “perché i russi non si ribellano?”. Il dibattito pubblico ha spesso invocato un’atavica apatia del popolo russo, assuefatto a secoli di oppressione, privo del patrimonio genetico della democrazia, impantanato in un Paese che ha conosciuto solo autoritarismo. “La Russia che si ribella” propone un’analisi approfondita della storia dell’opposizione a Vladimir Putin e delle diverse forme di repressione e resistenza nel Paese dal 2000 a oggi. Come scrivono gli stessi autori: “Pur messa a dura prova da una erosione graduale e costante del proprio margine di manovra, la società civile russa ha usato, negli anni, un vasto repertorio di espressioni di dissenso alternative”.

Attraverso cinque interviste-testimonianze il libro esplora le complesse dinamiche della società e della politica russe, evidenziando il ruolo della Chiesa ortodossa, della società civile e dei sondaggi d’opinione, nonché la complicità delle istituzioni accademiche nel contesto dell’autoritarismo putiniano. Il testo è arricchito da una cronologia dettagliata dal 2000 a oggi e da un glossario con le parole chiave della depoliticizzazione e delle strategie del regime per depotenziare le voci di protesta e ribellione russe.

Apre il volume Ljudmila Vasileva, combattiva ottantenne, veterana delle proteste: “Vivo ancora a San Pietroburgo e passo gran parte del mio tempo ad andare in tribunale in solidarietà con i prigionieri politici. Proprio qualche giorno fa ero al processo di un uomo arrestato per dichiarazioni contro la guerra. Mi sono avvicinata ai pubblici ministeri e ho detto loro che avrebbero bruciato all’inferno per appoggiare ‘questo assassino’, riferendomi a Vladimir Putin. Mi rendo conto che non si possono dire queste cose, che ti mettono in prigione. Ma io non ho più nulla di cui preoccuparmi”.

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