“Non divisioni e ambizioni personali”. Ma non mancano frecciatine da minoranza
Roma, 24 feb. (askanews) – Le dodici cabine elettorali allestite di tutto punto restano inesorabilmente deserte, i nastri che transennano l’area inutilmente ferme al loro posto. Antonio Tajani diventa ufficialmente il primo segretario di Forza Italia per alzata di mano. Buona parte del discorso pronunciato un secondo dopo la proclamazione ha come sottotesto l’impegno a non gestire il partito con la logica dell’uomo solo al comando.
“Qui – dice – non c’è un segretario, non ci sono quattro vicesegretari e tre capigruppo, ma una classe dirigente nazionale che è in grado di essere punto di riferimento, che è in grado di assumersi in questo momento l’impegno di guidare il Paese”. Allo stesso tempo chiede al partito di rendere omaggio a Silvio Berlusconi evitando divisioni “per piccole ambizioni, per piccole ricerche di soddisfazione personale”. Per se stesso adotta il mood della modestia. “Non è facile indossare la fascia di capitano quando l’ha indossata Silvio Berlusconi. Non sarò Maradona, ma ce la metterò tutta”.
E’ un tentativo di difesa dell’equilibrio interno raggiunto guardando a quelle Europee che dovevano essere il test della sopravvivenza e si sono trasformate nel sogno di un sorpasso sulla Lega.
In tanti nei loro interventi dal palco del congresso dell’Eur definiscono l’appuntamento come l’inizio di una storia nuova per il partito. Di certo, però, la scelta di non andare alla conta è decisamente in continuità con l’era berlusconiana, quella in cui le regole le faceva il capo e le decisioni avvenivano tutte “per acclamazione”.
E’ lo Statuto a prevedere questa opzione nel momento in cui le candidature sono nello stesso numero delle cariche da ricoprire.Ma se per l’elezione del segretario uno scrutinio vecchio stile probabilmente non avrebbe fatto nessuna differenza, altrettanto non si può dire nel caso dei quattro vice. Proprio per sminare il terreno da tensioni interne che già cominciavano a serpeggiare, alla vigilia della due giorni si è deciso che non ci sarebbe stato nessun vicario. E, tuttavia, le stesse regole congressuali prevedevano un ruolo comunque di primus inter pares per chi avesse ottenuto più voti, o in caso di parità, al più anziano. A spingere perché si votasse è stato il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, che legittimamente ambiva a a fare il pieno di consensi. La decisione di evitare la conta – fortemente voluta da Tajani e approvata dall’assemblea nell’avvio della seconda giornata dei lavori – porterà invece sul gradino più alto Deborah Bergamini.
Nessuno dei quattro vice (ci sono anche Stefano Benigni in quota Fascina e il governatore del Piemonte Alberto Cirio) è diretta rappresentanza della minoranza interna, quella che fa riferimento alla senatrice Licia Ronzulli. La necessità di costruire un futuro post berlusconiano ha portato a una tregua che per ora regge e i sondaggi favorevoli con cui Tajani si è presentato all’appuntamento di certo sono un forte collante per un partito che nove mesi si è sentito a un passo dalla dissoluzione. E, tuttavia, non mancano le punzecchiature. Come quella del vice presidente della Camera, Giorgio Mulè, che non risparmia frecciatine sulle “api della politica” che prima sono andate via e ora sono tornate in Forza Italia ottenendo anche ruoli di vertice. Non fa nomi, ma il riferimento a Letizia Moratti (ora a capo della Consulta del segretario) e a Stefano Benigni sono chiari. “Noi siamo rimasti quelli di Silvio Berlusconi, non siamo cambiati”, dice.
La vice presidente del Senato, Licia Ronzulli, chiede invece al segretario di rispettare anche la minoranza, “di dare valore a tutte le sensibilità di questa comunità, assumere decisioni coraggiose e ascoltare anche le voci più critiche di questa comunità ma sempre in un ottica costruttiva”. Insomma, che il movimento premi “la militanza, la coerenza, la lealtà, la fedeltà a un ideale”.