La magistratura non poteva utilizzarle senza autorizzazione anche se riferite a un terzo
Roma, 28 dic. (askanews) – La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il Giudice per le indagini preliminari e il Giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale, in relazione all’attività di intercettazione che ha coinvolto, nell’ambito di plurime indagini, Stefano Esposito, Senatore nella XVII legislatura. Con la sentenza n. 227 del 2023, depositata oggi (red. Stefano Petitti), è stato dichiarato che non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica.
Secondo la sentenza, il carattere “mirato” dell’attività di indagine deve essere ricavato dalla ‘decisiva circostanza» per cui, nei confronti del parlamentare, emergono ½specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi’.
In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che indici quali l’abitualità dei rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato, il numero delle conversazioni e la loro prevedibilità, nonché la loro proiezione nel tempo, possono non essere da soli sufficienti a qualificare il parlamentare come bersaglio effettivo delle indagini. Ad assumere un peso determinante in tal senso è, piuttosto, l’effettivo e sostanziale coinvolgimento del parlamentare tra gli obiettivi delle indagini. Laddove, infatti, tale coinvolgimento del parlamentare ‘si traduca – indipendentemente dall’acquisizione dello status di indagato – in indirizzi investigativi chiaramente e univocamente rivolti ad approfondire la sua eventuale responsabilità penale’, esso contrassegna la correlata attività di intercettazione come rivolta ad accedere alla sua sfera di comunicazioni e, pertanto, bisognosa dell’autorizzazione preventiva ex art. 4 della legge n. 140 del 2003.
Nel caso che ha dato origine al conflitto, la Corte ha ritenuto che tale effettivo e sostanziale coinvolgimento dell’allora senatore Esposito emerga chiaramente a partire dal 3 agosto 2015, data nella quale il contenuto delle conversazioni intercettate viene per la prima volta fatto oggetto di ‘spunti investigativi meritevoli di approfondimento’. All’avvenuto mutamento degli obiettivi dell’attività di indagine, convalidato anche da provvedimenti adottati a seguire e dalla successiva iscrizione del parlamentare nel registro degli indagati, si riconnette quindi l’illegittimità dell’acquisizione e dell’utilizzo delle intercettazioni successive al 3 agosto 2015 in quanto avvenuti senza che sia mai stata richiesta, dall’autorità giudiziaria procedente, l’autorizzazione preventiva prescritta dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003.
Le intercettazioni disposte ed effettuate prima del 3 agosto 2015 sono invece da qualificarsi come “occasionali”, con la conseguenza che non potevano essere utilizzate nei confronti di Stefano Esposito senza l’autorizzazione successiva richiesta dall’art. 6, comma 2, della medesima legge.