Situazione grave o allarmante in 43 Paesi secondo l’Indice globale (Ghi)
Milano, 29 nov. (askanews) – Sono 750 milioni le persone che nel mondo soffrono la fame. E il dato allarmante è che i progressi per contrastarla sono in stallo dal 2015. Nel 2023 la fame a livelli grave o allarmante colpisce 43 Paesi e il numero di persone malnutrite è salito a 735 milioni. Il quadro emerge dall’Indice globale della fame (Global hunger index – Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance2015.
A pagarne il conto amaro sono le persone più giovani: l’instabilità alimentare attuale significa rischiare una vita adulta di povertà estrema, soffrire la fame, vivere in contesti incapaci di far fronte ai disastri climatici e all’intrecciarsi di altre crisi. Ad aver di fronte lo scenario più buio sono, in particolare, le ragazze: donne e bambine rappresentano circa il 60% delle vittime della fame acuta, mentre il lavoro di assistenza non pagato le sovraccarica, tanto da triplicare la loro probabilità di non accedere a lavori retribuiti rispetto ai loro omologhi.
L’analisi calcola il punteggio GHI di ogni Paese sulla base dello studio di quattro indicatori (denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni) e non è un caso che sia stata presentata alla vigilia dell’apertura della Cop28 a Dubai. Il cambiamento climatico ha un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare: all’aumentare di temperature e disastri climatici, crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre alimenti. Gli effetti sono particolarmente evidenti nei Paesi poveri e sulla salute dei loro abitanti: il 75% di chi vive in povertà nelle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza, essendo quindi particolarmente vulnerabile ai disastri; inoltre, stima il World food program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Secondo la Banca mondiale, dal 2019 al 2022 il numero di persone che vivono in insicurezza alimentare è aumentato da 135 milioni a 345 milioni, sotto l’effetto combinato delle varie crisi ed emergenze.
“La sovrapposizione delle crisi sta intensificando le diseguaglianze sociali ed economiche, vanificando i progressi sulla fame, mentre il peso più grave è sui gruppi più vulnerabili, come donne e giovani – ha dichiarato Gloria Zavatta, presidente di Fondazione Cesvi – I giovani devono avere un ruolo centrale nei processi decisionali, mentre il diritto al cibo va posto al centro delle politiche e dei progressi di governance dei sistemi alimentari”, ha aggiunto. Inoltre, ha sottolineato, “nei prossimi anni è previsto che il mondo affronti un numero crescente di choc, provocati soprattutto dai cambiamenti climatici. L’efficacia della preparazione e della capacità di risposta alle catastrofi è destinata a diventare sempre più centrale dal punto di vista della sicurezza alimentare”.
Dopo che i passi avanti nella lotta alla fame si sono interrotti nel 2015, il punteggio di GHI 2023 per il mondo è 18,3, considerato moderato, meno di un punto in meno dal 2015 (19,1), e dal 2017 il numero di persone denutrite è aumentato da 572 milioni a circa 735 milioni. Le regioni con i dati peggiori sono Asia meridionale e Africa Subsahariana (27,0 per entrambe, ossia fame grave): negli ultimi vent’anni hanno costantemente registrato i più alti livelli di fame e, dopo i progressi dal 2000, nel 2015 la situazione è entrata in stallo. Nel 2023 in nove Paesi la fame è allarmante: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi è grave. In 18 nazioni dal 2015 la fame è aumentata (situazioni moderate, gravi o allarmanti) e in altri 14 il calo è stato trascurabile (inferiore al 5%). Al ritmo attuale, 58 Paesi non raggiungeranno un livello di fame basso entro il 2030. A destare le maggiori preoccupazioni nel 2023 sono Afghanistan, Haiti, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen, oltre a Burkina Faso e Mali nel Sahel: tra i fattori chiave ci sono conflitti e cambiamento climatico, nonché la recessione economica. In sette Paesi il miglioramento è superiore al 5% dal 2015: Bangladesh, Ciad, Gibuti, Mozambico, Nepal, Laos e Timor Est.
Tra le persone giovani nel mondo, una su cinque non lavora, né è impegnata in corsi di studio o formazione, mentre la pandemia ha causato la perdita di milioni di posti di lavoro, colpendo in particolarmente la fascia giovanile, che anche quando lavora ha il doppio delle probabilità degli adulti di vivere in povertà estrema, con meno di 1,90 dollari al giorno, e molte più probabilità di essere impiegata in modo informale. Questo quadro è ancora più fosco per le ragazze, su cui continua a ricadere il lavoro di assistenza non retribuito, che sottrae loro tempo, energie e opportunità per la propria formazione e per accedere a impieghi retribuiti.
È ormai noto, seppur senza risposte, che il lavoro di cura non retribuito è uno dei fattori che contribuiscono al protrarsi della disuguaglianza di genere ed è una delle cause principali della povertà e della fame. Ciò, nonostante sia evidente l’importanza della salute e nutrizione delle ragazze, anche per le generazioni successive. Chiave è il cambiamento climatico, con i disastri che porta con sé: entro la metà del secolo, nello scenario peggiore, potrebbe spingere fino a 158,3 milioni di donne e ragazze in più nella povertà (16 milioni in più rispetto a uomini e ragazzi), mentre l’insicurezza alimentare colpirà almeno 236 milioni in più di donne e ragazze (rispetto ai 131 milioni di omologhi). Al tasso attuale di progressi sul divario di genere nel mondo, inoltre, la prossima generazione di donne dedicherà ancora al lavoro non pagato di cura e domestico 2,3 ore in più dei maschi.
Il focus del rapporto quest’anno è proprio su come gli attuali sistemi alimentari hanno pregiudicato ragazze e ragazzi, che erediteranno sistemi insostenibili, iniqui, non inclusivi e sempre più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico. Il gruppo demografico under 25 è importante e in crescita, in particolare proprio nei Paesi con problemi di insicurezza alimentare: costituisce il 16% della popolazione del globo (1,2 miliardi di persone), mai così ampio nella storia, e in gran parte vive in Paesi a basso e medio reddito di Asia meridionale, Asia orientale e Africa7. Insicurezza alimentare e malnutrizione sono massime e persistenti proprio nelle zone dove vive la maggior parte della popolazione giovanile, ossia Asia meridionale e Africa sub sahariana.