Solo il 2% è in terapia
Roma, 4 nov. (askanews) – E’ una rivoluzione mancata, quella dei vaccini per le allergie in Italia. Le linee guida internazionali raccomandano l’immunoterapia allergene specifica (ITS) come la migliore terapia in grado di cambiare il decorso naturale delle allergie respiratorie e di quelle alle punture d’insetto. Ma se sono 6 milioni, pari alla metà dei pazienti allergici, quelli candidabili all’uso dei vaccini, solo il 2% ne fa attualmente uso. Una situazione paradossale, dovuta alla mancanza di rimborsabilità, di un’adeguata rete di assistenza allergologica sul territorio e alla scarsa informazione. A lanciare l’allerta sono stati gli esperti della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), riuniti a Bologna per il loro XXXV Congresso Nazionale.
La diffusione delle allergie è in continuo aumento. Secondo l’OMS sono circa 350 milioni le persone al mondo che soffrono di allergie respiratorie, malattie che influenzano pesantemente la qualità di vita delle persone, con gravi implicazioni sociali ed economiche. Sono più di 1.000 nel mondo i morti al giorno per asma, circa 300 all’anno in Italia, molti dei quali evitabili se i pazienti fossero trattati la maniera efficace. La previsione è che entro il 2050 quasi la metà della popolazione soffrirà di qualche forma di allergia, complici il cambiamento climatico e l’inquinamento. Nel nostro Paese circa il 10% dei bambini al di sotto dei 14 anni soffre di asma e l’80% di questi sono allergici. In Italia, i costi diretti dell’asma rappresentano 1-2% della spesa sanitaria, mentre quelli indiretti, nei casi più gravi, costituiscono oltre il 50% dei costi complessivi.
Rinite e asma vengono solitamente trattate con terapie sintomatiche quali farmaci antistaminici e corticosteroidi inalatori, ma oltre a questa opportunità vi è anche una terapia di cui si parla ancora troppo poco: l’immunoterapia allergene specifica, ovvero il vaccino. «Si tratta di una terapia desensibilizzante che può davvero cambiare il decorso della malattia, sia nei pazienti con allergie respiratorie che in quelli allergici alle punture degli imenotteri, come vespe e calabroni» – spiega Mario Di Gioacchino, Presidente SIAAIC – consiste in dosi progressivamente crescenti dell’allergene verso cui il paziente è sensibilizzato. In tal modo – prosegue l’esperto – si sviluppa una attiva tolleranza immunitaria, con produzione di anticorpi protettivi verso lo stesso allergene, inducendo così una tolleranza alla sua riesposizione”.
L’AIT mantiene la propria efficacia per molti anni dopo la sospensione del trattamento che dure 3-4 anni. La somministrazione può essere fatta per iniezione sottocutanea o per via sublinguale, durante tutto l’anno o con schemi terapeutici stagionali che devono essere messi a punto dallo specialista allergologo-immunologo. «Sono ormai moltissimi gli studi scientifici che dimostrano l’efficacia e la sicurezza del trattamento: gli effetti collaterali sono poco frequenti e limitati a prurito e fastidio al cavo orale, in caso di somministrazione sublinguale, ed eritema e gonfiore al braccio, in caso di iniezione». A limitare l’impiego dei vaccini in Italia sono molteplici ragioni. “Certamente il problema dei costi, nelle Regioni nelle quali questo trattamento è a totale carico dei pazienti, con una spesa annua di circa 500-600 euro, rappresenta una forte limitazione – dichiara Di Gioacchino – in Italia esiste una situazione a macchia di leopardo, a causa della mancanza di una legislazione che regoli la rimborsabilità dell’AIT in modo uniforme. La decisione se erogare e in che misura i vaccini, dipende soltanto dalle singole Regioni con una inaccettabile difformità di trattamento di una malattia cronica, la cui cura dovrebbe essere inserita nei LEA”. A pesare è poi la scarsa conoscenza delle malattie allergiche,come dimostrano i risultati di una recente indagine, condotta tra maggio e luglio, su un campione di oltre mille italiani con più di 18 anni. Dai dati emerge che il 20% dichiara di soffrire di allegrie respiratorie ma solo il 22% degli intervistati riconosce nell’allergologo lo specialista di riferimento a cui rivolgersi in caso di bisogno. Per quanto riguarda le allergie respiratorie, il 53% del campione ritiene di essere poco o per nulla informato e perfino chi soffre di questo problema dichiara di affidarsi per lo più al passaparola con amici e parenti. A trascurare l’importanza dell’allergologo non sono solo i pazienti, ma anche il Servizio Sanitario Nazionale. Sebbene le malattie allergiche colpiscano ormai il 20% della popolazione e siano in continuo aumento, determinando un grande carico assistenziale, «l’assistenza allergologica è fortemente ridimensionata ovunque a differenza di quanto previsto per numerose altre discipline a minore impatto epidemiologico e assistenziale», sottolinea Mario Di Gioacchino. «La mancata definizione di un modello assistenziale significa banalizzare le patologie allergologiche, e non riconoscerne l’impatto economico e sociale sottovalutando la figura dello specialista che deve essere prevista espressamente nelle case della comunità, a garanzia di un’assistenza di qualità”.