Scienza e Brancadoro (UniMi): la conferma dopo 20 anni di esperimenti
Milano, 10 gen. (askanews) – Dopo oltre venti anni di sperimentazioni e microvinificazioni in dieci diverse aree produttive del nostro Paese, l’equipe dell’Università di Milano ha dimostrato che i portainnesti della serie “M” sono in grado di portare il vitigno a migliori performance produttive in tutti i diversi aspetti che determinano la qualità dell’uva e quindi del vino: vigore e produzione del ceppo, maturazione tecnologica, fenolica e aromatica delle uve.
“La portata di quest’ultima ricerca dell’Università di Milano è veramente rivoluzionaria perché cambia la visione storica che abbiamo sempre avuto dei portainnesti. Da oggi in poi non dobbiamo più considerarli solo una barriera contro fillossera, siccità, ecc. ma come un efficiente strumento biologico per ottenere una superiore qualità dell’uva e quindi del vino” ha commentato Marcello Lunelli, presidente di Winegraft la società che riunisce nove, importanti, aziende vitivinicole del nostro Paese (Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli) che da dieci anni sostiene lo sviluppo della ricerca sui portainnesti “M”, moltiplicati e distribuiti in esclusiva da Vivai Cooperativi Rauscedo.
“Siamo riusciti finalmente a dimostrare che anche nella viticoltura, come ormai accreditato negli altri ambiti delle colture arboree il portainnesto è anche un prezioso veicolo di miglioramento qualitativo della produzione” ha spiegato Attilio Scienza che con il collega Lucio Brancadoro della Statale di Milano ha guidato il team che ha selezionato questa nuova generazione di portainnesti, con il supporto dalle aziende di Winegraft. “L’importante mole di informazioni che abbiamo acquisito ci consente oggi di avere un panorama più chiaro sull’effetto diretto della scelta del portainnesto nelle performance produttivo-qualitative della vite e dell’uva, con riferimento alla qualità dei vini ottenuti” ha evidenziato il Brancadoro, sottolineando che “in particolare, nelle diverse combinazioni di innesto operate in vari campi di confronto, è emersa non solo l’estrema adattabilità degli ‘M’ ai diversi ambienti della viticoltura italiana ma anche come, attraverso la regolazione delle risposte adattive della vite alle differenti condizioni ambientali, questi portainnesti siano un importante driver dei risultati qualitativi. Rispondendo in modo più efficiente agli stress abiotici sempre più estremi a causa del cambiamento climatico, – ha proseguito – gli ‘M’ consentono un più favorevole decorso maturativo delle uve, premessa di una superiore qualità dei risultati enologici”.
Nel dettaglio, per il Cabernet Sauvignon innestato sugli ‘M’ si sono avuti migliori risultati produttivi in generale, bilanciati da una buona vigoria e con valori di zuccheri superiori alla media, parametro elevato che ritroviamo pure nello Chardonnay, messo a dimora in campi di confronto nella Franciacorta e nel Trento Doc, abbinato a livelli superiori di acidità titolabile (di acido malico in particolare) e minore pH, elemento determinante per una produzione spumantistica di qualità.
Sempre secondo quanto riferito, l’analisi sensoriale dei vini ottenuti da Chardonnay innestato con gli M allevato in Franciacorta, ha evidenziato livelli superiori di acidità e un profilo aromatico complesso che esalta le note di frutta tropicale: dal punto di vista olfattivo questi vini sono risultati più intensi e, alla prova del gusto, con una maggior acidità, sapidità, struttura e persistenza. Il portinnesto influisce anche sull’accumulo di polifenoli durante la maturazione, aspetto determinante nella qualità dei vini rossi. Nei campi di confronto in combinazione con diversi vitigni rossi (Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon e Sangiovese), sono stati rilevati livelli più alti di polifenoli totali nelle uve, una più accesa tonalità delle sostanze coloranti accompagnata da un loro maggiore accumulo e concentrazione, in particolare per la frazione antocianica non decolorante che facilita una migliore persistenza del colore durante l’affinamento dei vini.
Un ultimo aspetto rilevante ai fini dell’analisi sensoriale emerso dalla sperimentazione, è quello della composizione aromatica delle uve che i portainnesti ‘M’ condizionano in maniera determinate perché, influenzando una risposta differente alle condizioni ambientali, hanno effetti diretti anche sul metabolismo secondario della vite. “Questo aspetto risulta ad oggi poco studiato a causa delle difficoltà di analizzare l’elevato numero di composti aromatici presenti nei vini ottenuti da diverse combinazioni d’innesto” ha spiegato ancora il professor Brancadoro, mettendo in risalto che “nelle nostre prove effettuate su uve Chardonnay e Sangiovese, tuttavia, al di là dei dettagli sugli incrementi dei singoli composti riscontrati (acidi volatili, tioli, esteri etilici, fenoli, norisoprenoidi, ecc.) allo stato libero o sotto forma di precursori d’aroma, abbiamo avuto conferma di quanto i portinnesti ‘M’, siano un driver decisivo per raggiungere una qualità in vigna decisiva per ottenere risultati enologici d’eccellenza”.
“Questa scoperta ci porta a riconsiderare complessivamente l’approccio che abbiamo sempre avuto verso i portainnesti” ha sottolineato Marcello Lunelli, concludendo che “la prova scientifica dell’importanza che gli ‘M’ ricoprono nel determinare la qualità di un vino conferma la necessità di una scelta accurata della combinazione d’innesto che tenga conto della varietà e delle caratteristiche ambientali ma considerate anche in funzione dell’obiettivo enologico che si vuole perseguire”.