No a esclusione strutture che in un anno hanno erogato meno di 250 procedure II e III livello
Roma, 22 gen. (askanews) – Secondo i dati più recenti del Ministero della Salute, un numero crescente di coppie si rivolge alla procreazione medicalmente assistita (PMA), con un incremento del 73% dei parti ottenuti tramite questa tecnica nell’arco di dieci anni. Attualmente, 3,7 gravidanze su 100 avvengono grazie alla PMA, con un valore superiore tra le donne sopra i 35 anni. Le regioni con il maggior numero di parti da PMA sono Lombardia (3.616), Lazio (1.479) e Campania (1.241).
Per garantire la qualità dei servizi offerti, il Centro di Medicina della Riproduzione Alma Res, insieme ad altri 20 Centri del Lazio – si legge in una nota – ha formato un Coordinamento di Centri privati autorizzati.
Il Coordinamento punta su un approccio centrato sulla personalizzazione e umanizzazione delle cure, ponendo le persone e le coppie al centro dell’attenzione e propone la creazione di un Network di centri laziali che possano offrire prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario regionale. Un Network che potrebbe includere sia Centri di PMA pubblici che privati, con l’obiettivo di colmare la carenza di servizi offerti dal Servizio sanitario regionale del Lazio, ridurre le liste d’attesa ed evitare che le coppie siano costrette ad andare in altre regioni con un ulteriore aggravio di costi.
Con una popolazione di circa 5.720.537 abitanti e un fabbisogno stimato tra 1.200 e 1.500 cicli per milione di abitanti, il numero di prestazioni attualmente garantite dalle strutture pubbliche è insufficiente, come evidenziato dall’ultima Relazione del Ministero della Salute del 2021.
Ma la voce dei 21 Centri laziali vuole farsi sentire ancor più forte dopo la Delibera della Regione Lazio sul Piano Rete Regionale della Procreazione Medicalmente Assistita, che regola i criteri cui devono rispondere i Centri per far parte di tale rete e le modalità di accesso per le coppie che intendono sottoporsi a questi trattamenti.
In particolare, il Coordinamento – prosegue il comunicato – contesta alcuni aspetti. In primo luogo, l’esclusione delle strutture che in un anno non hanno erogato più di 250 procedure di PMA di II e III livello: secondo il Coordinamento si tratta di una discriminazione immotivata, in quanto il criterio storico del volume prestazionale è un concetto già superato dalla Magistratura amministrativa e da tutte le Autorità preposte alla verifica del rispetto dei principi di concorrenza. La qualità dei servizi, rammenta il Coordinamento, non è garantita dal numero di prestazioni erogate in passato, dal momento che le strutture autorizzate sono già in possesso di tutte le certificazioni previste per legge e in molti casi rappresentano un’eccellenza in termini di personale, esperienza e modernità.
In secondo luogo, la richiesta di validazione del piano terapeutico – prescritto da queste ultime – allo specialista dell’ambulatorio di prossimità rappresenta un ulteriore un vincolo sulle terapie farmacologiche, che rischia di rallentare ulteriormente o disincentivare i percorsi di PMA intrapresi dalle coppie. Infine, l’obbligo per le strutture private di avere un laboratorio di diagnostica biochimica con tecnologia avanzata: un requisito – secondo il Coordinamento – non correlato alla PMA e che rappresenta un fattore limitante per la maggior parte dei centri del Lazio.