La Corea del Sud rischia di restar fuori da una trattativa cruciale

Roma, 21 gen. (askanews) – Cosa accadrà tra Donald Trump, appena rientrato alla Casa bianca, e il leader nordcoreano Kim Jong Un? In una Corea del Sud attanagliata da una pesante crisi di leadership, dopo l’arresto del presidente conservatore Yoon Suk-yeol, si guarda con crescente preoccupazione alle prime mosse di Trump su questo fronte che lo vide molto impegnato nel primo mandato.

Trump fu il primo presidente Usa a incontrare un leader nordcoreano nella storia – lo fece ben tre volte – e tentò di arrivare a un accordo con Kim Jong Un sul programma nucleare di Pyongyang. Questo accordo naufragò perché gli Usa mettevano sul piatto la normalizzazione dei rapporti in cambio di una preventiva, totale, verificabile e irreversibile rinuncia all’arma nucleare da parte nordcoreana. Kim invece ritiene l’arma nucleare un dato acquisito e la considera una specie di assicurazione sulla vita.

Nelle prime dichiarazioni di Trump e di membri della sua cerchia sembra segnalarsi un’evoluzione. Ieri, tra le prime dichiarazioni del neopresidente dopo l’insediamento, ce n’è stata una che fa fatto drizzare le orecchie a Seoul. Durante un incontro con la stampa nello Studio Ovale, poco dopo il giuramento, Trump ha detto della Corea del Nord e di Kim Jong Un: “E’ una potenza nucleare. Andavamo d’accordo. Penso che sarà felice di vedere che sono tornato”.

Questa definizione per Pyongyang richiama quella sentita pochi giorni fa per bocca di Pete Hegseth, il candidato di Trump per la carica di segretario alla Difesa, il quale ha descritto la Corea del Nord come uno “Stato nucleare” che rappresenta una minaccia per la stabilità globale, durante la sua audizione di conferma. E nell’udienza separata di conferma di Marco Rubio, allora candidato per la carica di segretario di Stato, questi ha che “occorre un esame molto serio delle politiche nordcoreane più ampie”.

Trump aveva già chiarito da tempo che intendeva rimettersi a un tavolo per discutere con Kim Jong Un. Ma, queste affermazioni, suggeriscono un possibile cambio di obiettivo da parte americana: mentre finora Washington ha sempre perseguito la completa denuclearizzazione di Pyongyang, le cose nel secondo mandato del tycoon potrebbero essere diverse.

Un riconoscimento della Corea del Nord come potenza nucleare andrebbe oltre il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), che sancisce il numero delle potenze atomiche in cinque: Stati uniti, Russia, Cina, Regno unito e Francia.

Hong Hyun-ik, ricercatore presso il Sejong Institute, ha dichiarato all’agenzia Yonhap che l’ultima affermazione di Trump rappresenta “un modo per preparare il terreno” per la ripresa dei colloqui tra Stati uniti e Corea del Nord, costituendo di fatto parte dei preparativi di Trump per un incontro con Kim. Il neopresidente – ha osservato Hong – “sta alludendo a ciò che Kim Jong Un potrebbe guadagnare, se accettasse di dialogare,” in un momento in cui Kim ha pochi motivi per partecipare a negoziati, dato che possiede già armi nucleari.

In questa partita, però, la Corea del Sud, in questo momento politicamente molto fragile, rischia di restare completamente fuori dal tavolo.

“La denuclearizzazione della Corea del Nord è un principio costantemente sostenuto dalla Corea del Sud, dagli Stati uniti e dalla comunità internazionale”, ha affermato il ministero degli Esteri sudcoreano in un intervento dopo l’audizione di Hegseth. “In base al Tnp – ha aggiunto -, la Corea del Nord non può mai essere riconosciuta come uno stato dotato di armi nucleari”.

A Seoul, sotto questo fronte, c’è parecchia agitazione. E, come in passato è stato già ventilato, una rinuncia all’obiettivo della denuclearizzazione della Corea del Nord potrebbe rafforzare le voci a favore di una nuclearizzazione anche della Corea del Sud.

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