Dimezzare le dosi della chemioterapia? La soluzione dalla vinaccia d’uva mentre la capsaicina del peperoncino combatte il mesotelioma polmonare

Scoperta italo americana dello Sbarro Institute diretto da Antonio Giordano

Rivoluzione green antitumorale: dalle bucce dell’uva arriva una risposta per la lotta al cancro che dimezza le dosi della chemioterapia mentre la capsaicina contrasta il mesotelioma polmonare.

Un team di ricercatori ha fatto una scoperta che potrebbe trasformare radicalmente il modo in cui trattiamo i pazienti oncologici: l’acido oleanolico, una molecola naturale presente in molte piante, è in grado di potenziare l’efficacia dei farmaci chemioterapici, consentendo di ridurne significativamente le dosi. Questa scoperta apre nuove prospettive per una chemioterapia più sicura, con meno effetti collaterali e un maggiore benessere per i pazienti.

La ricerca è degli scienziati dello Sbarro Institute e descrive un nuovo potenziale ruolo dell’acido oleanolico come modulatore della risposta al danno al DNA in seguito al trattamento con camptotecina, una molecola naturale in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali.

La camptotecina è stata estratta per la prima volta dalla corteccia della Camptotheca acuminata (un albero originario della Cina).

La somministrazione di acido oleanolico in combinazione con camptotecina per la chemioterapia antitumorale può ridurre la quantità di farmaco necessaria e aumentare l’efficacia del trattamento.

I risultati fanno parte di un nuovo programma di ricerca incentrato sull’identificazione di nuove molecole per la terapia del cancro derivate da estratti naturali.

Lo studio intitolato “L’acido oleanolico modula la risposta al danno del DNA alla camptotecina che aumenta la morte delle cellule tumorali” è stato pubblicato la scorsa settimana sull’International Journal of Molecular Sciences (IJMS).

Il gruppo di ricerca, di cui fanno parte anche anche i professori Martino Forino e Luigi Frusciante dell’Univeristà Federico II di Napoli che hanno prodotto gli estratti naturali da cui è stata isolata la molecola, è guidato da Antonio Giordano (nella foto), direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine presso la Temple University, professore di Patologia all’Università di Siena e Fondatore della Sbarro Health Research Organization (SHRO), insieme a Luigi Alfano dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale, Napoli, Italia.

I ricercatori che lavorano con SHRO e Giordano sono stati responsabili di numerose scoperte rivoluzionarie nel campo della biologia molecolare e della medicina di precisione, tra cui il potenziale della capsaicina per migliorare il trattamento del mesotelioma, uno studio sul ruolo del CDK9 in oncologia e un bersaglio genetico per ridurre la crescita dei vasi sanguigni nei tumori del glioblastoma.

In questo nuovo studio, l’acido oleanolico è stato identificato in un estratto di vinaccia utilizzando la risonanza magnetica nucleare (NMR), rivelando un effetto significativo sulla vitalità delle linee cellulari tumorali quando combinato con un farmaco chemioterapico.

L’aggiunta di acido oleanolico agisce come composto additivo con la camptotecina, riducendo la concentrazione richiesta del farmaco chemioterapico rispetto alla sola camptotecina. Inoltre, l’acido oleanolico non influisce sulla vitalità cellulare alle concentrazioni utilizzate in questi esperimenti.

“Si tratta di una scoperta importante per il nostro gruppo, che evidenzia il potenziale degli estratti naturali come fonte di molecole per la terapia del cancro”, afferma Alfano.

“L’uso dell’acido oleanolico può consentirci di ridurre la concentrazione del farmaco camptotecina necessaria per ottenere il risultato antitumorale desiderato”, commenta Giordano.

“Dosi più basse di chemioterapia suggeriscono la possibilità di ridurre gli effetti collaterali associati al trattamento del cancro, rendendo l’esperienza più tollerabile per i pazienti. Siamo di fronte a un momento cruciale per la ricerca oncologica. L’acido oleanolico rappresenta una delle rare occasioni in cui la natura offre una chiave per risolvere una delle sfide più grandi della medicina moderna.

Questa molecola non solo può ridurre l’impatto tossico della chemioterapia, ma rappresenta un ponte tra scienza e benessere umano. Il nostro obiettivo è portare queste scoperte dal laboratorio al letto del paziente, migliorando non solo i tassi di sopravvivenza, ma anche la qualità della vita durante il trattamento.”

Nuove formulazioni di farmaci già noti derivanti da prodotti naturali hanno risvegliato l’interesse e incentivato gli studi sulla ricerca e sviluppo di farmaci di origine naturale (ad es. la formulazione dell’anticorpo monoclonale trastuzumab immunoconiugato con la mertansile 10, tossina prodotta da Maytenus buchananii, utilizzato nella terapia del cancro della mammella HER 2 + in stadio avanzato).

Inoltre un altro importante fattore che ha contribuito alla riscoperta del mondo naturale come fonte di composti ad attività farmacologica (antitumorale e non solo) è stata la pubblicazione nel 2004 da parte della FDA (Food and Drug Administation) delle linee-guida per l’approvazione del farmaco di origine botanica, il cosidetto botanical drug destinato alla cura e alla prevenzione delle malattie dell’uomo.

Esso è costituito da sostanze vegetali, può essere disponibile in varie formulazioni ed è composto da miscele complesse i cui principi attivi possono essere non noti suscitando grande interesse per la loro complessità intrinseca, per la loro capacità di interagire con molteplici target e influenzare diversi pathway: si sta affermando sempre più concetto di pianta come biofabbrica per la produzione di composti di interesse terapeutico e l’obiettivo di studio di una pianta si è ampliato spostando l’interesse per l’identificazione del singolo principio attivo verso l’osservazione della pianta in toto e focalizzando l’attenzione sul fitocomplesso considerato come l’insieme dei componenti attivi e non attivi di una droga vegetale.

Per oltre 40 anni le piante medicinali hanno rivestito un ruolo di primaria importanza come fonte di principi attivi utilizzati nella chimica farmaceutica per la sintesi di gran parte dei farmaci antiblastici ancora oggi in uso come quelli riportati in precedenza. Ancora oggi emerge da ricerche scientifiche su database che l’interesse per le piante medicinali anche in oncologia è molto intenso.

E’ di fondamentale importanza che l’impiego razionale dei fitoterapici in oncologia come in tutta la pratica clinica deve basarsi indiscutibilmente sulla precisa conoscenza delle caratteristiche chimiche, farmacocinetiche e farmacodinamiche dei prodotti utilizzati e sulle possibili interazioni con farmaci classici assunti o con alimenti.

“Le piante medicinali – aggiunge Giordano –  oggi assumono un ruolo diverso rispetto al passato: non possono essere considerati degli antitumorali efficaci da usare in alternativa ai farmaci tradizionali ma certamente un uso consapevole e razionale nella terapia di supporto e nel controllo della tossicità iatrogena appare certamente veritiero e positivo e rispondente al criterio che individua come obiettivo principale la cura del malato e non semplicemente quella della malattia.

Analogamente ai farmaci anche l’efficacia dei fitoterapici deve essere valutata e dimostrata mediante studi farmacologici e clinici che possano confermare, modificare o sfatare le conoscenze relative ad una pianta che sono state tramandate per secoli e possano rivelare tossicità un tempo ritenute terapeutiche.

Sono molti i lavori scientifici inerenti la comprensione dei meccanismi di azione dei fitoterapici ma sono sempre più indispensabili quelli di farmacologia preclinica finalizzati alla efficacia dei preparati di erbe utili per un uso razionale”.

L’articolo Tumori, rivoluzione verde: l’acido oleanolico cambia la lotta al cancro proviene da Notiziedi.it.

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