Uno dei migliori commissari europei che ha avuto l’Italia

Roma, 27 dic. (askanews) – Paolo Gentiloni ha portato a termine il suo mandato di commissario all’Economia insistendo ad ogni suo intervento pubblico sulla necessità di ricorrere ancora al debito comune europeo per gli obiettivi comuni strategici, come è stato già fatto per il sostegno Ue alla cassa integrazione durante il Covid (programma Sure), per il Pnrr (programma “NextGenerationEU”) e recentemente per un prestito all’Ucraina.

Ostinatamente, ha continuato a indicare una strada che i tabù ideologici dei paesi “frugali”, soprattutto Germania e Olanda, continuavano a escludere a priori, come se non fosse economicamente praticabile. E lo ha fatto anche contro la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che ha semplicemente ignorato, come se non esistesse, questa ipotesi, anche quando l’ha prospettata Mario Draghi nel suo Rapporto sulla competitività europea.

Come commissario all’Economia, Gentiloni è stato sempre brillante, competente, solido, chiaro nelle sue dichiarazioni, correttissimo nei suoi rapporti con la stampa. Attento a far prevalere sempre gli obiettivi, le finalità delle politiche economiche e finanziarie, e soprattutto la necessità di salvaguardare e incoraggiare gli investimenti pubblici e privati, rispetto all’applicazione pedissequa di regole europee che erano state forgiate nella temperie dell’austerità, come risposta sbagliata della “Europa tedesca” alla crisi economica e finanziaria 2008-2014, e in particolare alla crisi del debito sovrano nell’Eurozona del 2011.

Quando c’è stata l’occasione di cambiarle, quelle regole, dopo la sospensione del Patto di stabilità a seguito del Covid, Gentiloni si è impegnato al massimo per cercare soluzioni migliori, più flessibilità, parametri più realistici e applicabili, tempi di aggiustamento finanziario più lunghi, più incentivazione degli investimenti e delle riforme strutturali.

La riforma del Patto di stabilità che aveva presentato è stata attaccata dai “frugali”, e con particolare ferocia dal ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, poi cacciato dal governo dal suo cancelliere Olaf Scholz. E non hanno aiutato la reazione inaspettatamente debole a questi attacchi da parte della Francia e della Spagna, né l’arrendevolezza dell’Italia. Ma alla fine, nonostante i peggioramenti e le “clausole di salvaguardia” aggiuntive, nella riforma (entrata in vigore il 30 aprile scorso) è rimasto l’impianto originario, con la possibilità di spalmare su sette anni invece di quattro il percorso di aggiustamento di bilancio per i paesi in situazione di deficit o debito eccessivo, e con il nuovo indicatore della “spesa primaria netta” che ha sostituito i vecchi parametri difficilmente osservabili o applicabili come la “crescita potenziale”.

Gentiloni ora avrà incarichi internazionali, forse al momento opportuno tornerà in Italia per avere un ruolo di federatore politico della sinistra; e potrebbe ambire, un giorno, al Quirinale. Certo è che è stato uno dei migliori commissari europei espressi dall’Italia in settant’anni.

Ci mancherà. Voto: 8

di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *