Il dg De Angelis dopo inchiesta Bbd: necessarie misure protezionistiche

Milano, 3 dic. (askanews) – Passata di pomodoro venduta come italiana in alcune catene di supermercati inglesi ma prodotta a partire da concentrato di pomodori coltivati e raccolti in Cina, nella regione dello Xinjiang, dove è detenuta la minoranza musulmana degli Uiguri costretta al lavoro forzato. A denunciarlo una inchiesta giornalistica della Bbc su alcune passate a marchio della gdo che sarebbero prodotte dalla azienda italiana Petti.

“La nostra indagine ha testato 64 diverse passate di pomodoro vendute nel Regno Unito, in Germania e negli Stati Uniti, confrontandole in laboratorio con campioni provenienti da Cina e Italia – scrive la Bbc – Tra queste rientravano i migliori marchi italiani e i marchi dei supermercati, e molte erano prodotte da Petti”. Sul campione analizzato “17 sembravano contenere pomodori cinesi, 10 dei quali sono prodotti da Petti, l’azienda italiana che abbiamo trovato ripetutamente elencata nei registri di spedizione internazionali”.

A tal proposito oggi è intervenuto Giovanni De Angelis, direttore generale dell’Associazione nazionale industria conserve vegetali (Aniccav) di cui Petti è socio: “Quanto accaduto nelle scorse ore in Gran Bretagna, con un’inchiesta giornalistica che mette in dubbio l’origine della materia prima utilizzata per alcune passate di pomodoro che i consumatori d’oltremanica trovano a scaffale, impone una duplice riflessione – affarma in una nota – Prima di tutto sulle metodologie usate per questa indagine che non ci risultano avere fondamento scientifico. La nostra associazione sta lavorando in questo senso, proprio per arrivare a un metodo condiviso e certo per definire l’origine della materia prima e combattere, come facciamo da sempre, ogni tentativo di frode”.

“Nell’ambito del Tavolo pomodoro istituito presso il Masaf – prosegue De Angelis – abbiamo chiesto regole chiare sulla messa in commercio in Europa di derivati del pomodoro a basso costo provenienti da Paesi che producono sotto le soglie minime di sostenibilita’ ambientale e sociale”. Rimane poi la questione normativa. “Per nostra natura siamo culturalmente favorevoli a mercati aperti e liberi da dazi, tuttavia in alcuni casi limite potrebbe essere necessario porre in essere, in sede europea, mirate politiche protezionistiche. A tal fine salutiamo positivamente l’adozione del Regolamento ‘Products made with forced labour’ che vieta l’immissione sul mercato europeo di prodotti realizzati utilizzando lavoro forzato”.

L’associazione, che attraverso la Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari di Parma è al lavoro per individuare un metodo per garantire tracciabilità e origine dei prodotti derivati dal pomodoro, al momento non ha preso una posizione rispetto all’azienda associata finita al centro dell’inchiesta della Bbc ma, fa sapere, che qualora risultassero violazioni del codice etico associativo verrà espulsa.

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