L’analisi basa su quota investimenti realizzati da nuove imprese nel settore manifatturiero
La Banca d’Italia ha pubblicato un’analisi sulla evoluzione del dinamismo imprenditoriale nella penisola dal 1903 al 1971, misurato dalla quota di investimenti delle nuove imprese nel settore manifatturiero. Questo indicatore è considerato inversamente correlato all’esistenza di barriere all’ingresso nel mercato, spiega l’Istituzione in una nota.
L’analisi si basa su una ricostruzione degli investimenti in beni materiali utilizzando dati di bilancio delle società per azioni.
Intitolato “Un paese per imprese incumbent? Evidenza dagli investimenti manifatturieri in Italia nel ventesimo secolo”, lo studio mostra che fino agli anni ’20 gli investimenti sono stati effettuati principalmente da nuove imprese; dopo la Grande Depressione degli anni ’30, e per tutto il periodo successivo, compreso il cosiddetto “miracolo economico”, la quota maggiore di investimenti è stata effettuata da imprese consolidate, già presenti sul mercato (incumbent).
Il presente documento analizza due cambiamenti istituzionali che possono spiegare il declino a lungo termine del dinamismo delle imprese.
In primo luogo, il processo di riforma bancaria tra il 1926 e il 1936 potrebbe aver portato alla scomparsa del modello di banca universale, che ha contribuito alla stabilità finanziaria del Paese ma ha limitato la capacità delle nuove imprese di accedere al finanziamento esterno.
In secondo luogo, riporta l’analisi presentata da Bankitalia, la legislazione introdotta dal fascismo negli anni Trenta ha portato a un forte calo del carattere competitivo e a un aumento degli accordi collusivi.
Giovanni Lombardi Stronati
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