Piccialuti: fatturato comparto stabile sopra 1 mld ma pesano costi e clima
Milano, 2 ott. (askanews) – L’hanno comprata quasi tutti almeno una volta ma, a domanda, l’86% non ha mai sentito il suo nome o, se lo ha sentito, non ne conosce il significato. Parliamo della IV gamma, il comparto di verdura, frutta e ortaggi freschi confezionati (in busta o in vaschette) e pronti per il consumo, che in Italia vale un miliardo di euro e vende circa 800 milioni di confezioni l’anno, tra insalate in busta e zuppe pronte. Prodotti destinati soprattutto a quelle fasce di popolazione che cercano soluzioni pratiche, come gli uomini tra i 30 e 39 anni (abitualmente 61%), chi vive nelle grandi città, famiglie numerose e con figli fino a 17 anni, che non a caso registrano i consumi più elevati. “La busta dell’insalata la comprano praticamente il 96% degli italiani o delle famiglie. Insomma, come consumatori il 96% usa la IV gamma, o quantomeno l’ha usata. Ma rimane sempre il dubbio o una sorta di ignoranza in alcuni su che cosa c’è dietro, sul processo di lavorazione e sul nome”, ci ha detto Mario Piccialuti, direttore generale di Unione italiana food parlando del comparto che sta ancora vivendo una fase “di grandissima difficoltà”, legata all’incremento dei costi e all’incertezza climatica.
“IV gamma effettivamente non è un nome chiaro, presuppone che prima ce ne siano altre tre, ma cosa indichino queste altre tre non si sa – ha aggiunto – In realtà sono cinque e noi ci sforziamo come associazione di spiegarle, ma evidentemente non basta”. In effetti non siamo abituati a indicare frutta e verdura fresche come prima gamma, o quelle conservate in barattolo come seconda e le verdure surgelate come terza. Nè si parla di quinta gamma quando si acquista ortofrutta ricettata pronta al consumo. E’ una classificazione merceologica lontana dal vissuto dei cittadini che, tuttavia, nel caso specifico della IV gamma cela pregiudizi e false convinzioni. Perchè, come sembra emergere dall’indagine condotta da AstraRicerche per il gruppo Prodotti ortofrutticoli di IV gamma di Unione italiana food, tra le ragioni di chi non la acquista nel 55% c’è l’idea che l’ortofrutta fresca sia migliore e nel 31% dei casi che la IV gamma contenga conservanti. Quest’ultima, in particolare, è una convinzione diffusa anche tra chi dichiara di acquistarla: il 75% sostiene, infatti, che siano presenti conservanti, dato che sale all’87% nella fascia d’età 18-29. “Esiste una mancanza di conoscenza da parte di un segmento del campione importante perché è quello più giovane e prevalentemente di genere maschile – ha detto Piccialuti – Questo campione è molto importante perché la IV gamma ha un alto contenuto di servizio e non tutti i ragazzi di quell’età sono propensi a dedicare tempo all’ortofrutta. Sorprende un po’ che questi consumatori giovani, attentissimi alle tematiche della sostenibilità, possano immaginare che la quarta gamma contenga i conservanti, laddove la catena del freddo in tutti i prodotti alimentari serve a eliminarli”. E proprio la catena del freddo è un altro tasto dolente visto che, stando alla ricerca, più della metà dei consumatori (63%) interrompe la catena del freddo non utilizzando la borsa frigo per il trasporto supermercato-casa.
Nel carrello della spesa la IV gamma è soprattutto rappresentata dall’insalata in busta, acquistata dal 73% del campione, e dalle verdure pronte da cuocere (67%), seguite da insalate in ciotola (36%), zuppe e vellutate pronte (30%) e frutta lavata e tagliata (29%). Ma dietro questi prodotti c’è un comparto, con una filiera corta, che da qualche anno è alle prese con molte sfide: alle regole europee sugli imballaggi si sono aggiunti inflazione, incertezza climatica, margini in contrazione per aziende che ora sembrano vedere uno spiraglio. “Da un punto di vista della profittabilità, dell’incidenza dei costi, il settore è ancora in una fase di grandissima difficoltà – ha spiegato il dg di Unionfood – Da un punto di vista però di numeri noi siamo riusciti a confermare nei primi sei mesi del 2024 quelli che erano i risultati di fatturato dello scorso anno: parliamo di 530 milioni che se rapportati ai 12 mesi dovrebbero confermarci sopra il miliardo di fatturato complessivo. Se guardiamo le quantità, anche qui abbiamo consolidato i risultati dello scorso anno, cioè siamo cresciuti ma siamo in linea con la tendenza dello scorso anno: supereremo gli 800 milioni di confezioni. Nei soli primi sei mesi dell’anno parliamo di 406 milioni di confezioni, con il mese di luglio che è ancora molto importante come consumi non incluso, quindi se tanto mi date tanto alla fine dell’anno arriveremo a raddoppiare”.
A mettere in difficoltà il comparto sono diversi elementi. “L’anno scorso ci misuravamo con grandi problemi di carattere regolativo che erano il regolamento sull’imballaggio dei prodotti alimentari e con una situazione inflazionistica molto pesante, con un aumento dei costi di processo per le nostre aziende – ha spiegato ancora Piccialuti – Lo sforzo delle aziende è stato e continuerà a essere quello di non scaricare il più possibile questi aumenti di costo sul consumatore. Purtroppo, a oggi, l’aumento dei costi, significativo, non è rientrato del tutto, basti pensare all’energia, ben sopra il periodo pre-Covid e pre-bellico. E’ un problema dal quale non si esce a cui si aggiungono dei problemi ormai diventati strutturali, tipici di una filiera così corta, che sono quelli delle condizioni climatiche”.
“Una delle difficoltà principali di questa filiera è la forte dipendenza dal clima – ha aggiunto – al di là dei prodotti che molte delle nostre aziende producono direttamente nelle proprie serre quando ci sono condizioni climatiche pregiudizievoli quelle impattano sulla disponibilità dei prodotti” coltivati all’aria aperta. “Ci sono proprio delle specie che vengono messe a duro rischio ed è difficile spiegare alla distribuzione, che è il nostro cliente primario e, di conseguenza, al consumatore, che non c’è sempre disponibilità – ha avvertito Piccialuti – E questo è un problema che si aggiunge a quello dei costi perché è un problema di assortimento del prodotto. E quando la materia prima si riduce per motivi climatici, la poca che c’è costa molto di più. Alla fine anche il problema climatico, di disponibilità della materia prima, si traduce in un incremento di costo notevole”.
E per il futuro che prospettive ci sono per il comparto? “E’ un momento di grande responsabilità da parte delle nostre aziende: si continua a tirare la cinghia per far fronte il più possibile ai costi che aumentano e purtroppo non diminuiscono – ha sottolineato Piccialuti – Aumenti di marginalità nel breve non ne vedo, ma immagino che un leggero aumento del potere di acquisto degli italiani, come i dati sembrano confermare, consentirà di dare un po’ più di fiducia e disponibilità al consumatore per acquistare questi prodotti a un prezzo leggermente maggiore. Mi auguro che questo si possa realizzare perché questo porterebbe profittabilità a un settore che ne ha un gran bisogno, è una filiera molto corta ma molto complessa”.