Bisogna passare dalla malattia per scoprire dignità dell’altro
Cagliari, 27 set. (askanews) – “La cultura è la solitudine che cerca un abbraccio universale. Anzi mi spingo un po’ oltre, è la solitudine che trova un abbraccio. Non ne posso più delle logiche di sopraffazione, delle divisioni, la cultura è sempre un ponte, una tensione verso l’altro, magari partiamo da qui per creare un mondo più bello”. E’ questo il messaggio che lancia Giovanni Allevi, arrivato a Cagliari per aprire il Med Fest, il festival sull’unicità dei Paesi affacciati sul Mar Mediterraneo. Si racconta, Allevi, davanti al pubblico, rispondendo alle domande della giornalista-conduttrice Barbara Politi.
Emoziona, condivide momenti di intimità, momenti di sofferenza, ma anche la forza e la speranza che trova dentro di sé e nei suoi affetti per diffondere un messaggio chiave: l’incontro con l’altro, l’empatia.
“La divisione nei confronti dell’altro nasce sempre dalla paura – dice poi incontrando i giornalisti – quando abbiamo paura ci chiudiamo a riccio ed ecco nascere la visione. Poi a un certo punto quando arriva una esperienza come quella della malattia vieni catapultato in una dimensione ancora più profonda dove non c’è più la divisione ma c’è proprio la solidarietà verso l’altro, il massimo rispetto della differenza, la scoperta della dignità dell’altro. Bisogna passare attraverso la malattia per acquisire questa nuova consapevolezza”.
Allevi torna su un palco dopo Sanremo e dopo il tour, ma mai come al Med Fest si era aperto così tanto, ‘abbracciando’ il pubblico. “L’emozione è sconvolgente; entrare di nuovo in contatto con l’umanità, con questo affetto incredibile che la gente continua a darmi, anche qui in Sardegna è bellissimo – dice con un pizzico di commozione -. E’ come se questa malattia non avesse mai interrotto il filo che mi lega al cuore della gente e adesso voglio viverlo tutto, voglio viverlo con il cuore”.
La risposta al dolore, per il pianista, che ha eseguito alcuni dei suoi brani – tra i quali Tomorrow scritto in ospedale – è una sola. “Quando fai esperienza concreta della possibilità della tua fine, le cose sono due: o ti fai prendere della disperazione, oppure decidi di farti attraversare dalla vita come se non ci fosse un domani. Ed è una condizione bella, drammaticamente bella, che però adesso sento proprio nel cuore”.
Allevi ha deciso di partecipare al Med Fest perché ha creduto fortemente nel progetto, fin dall’inizio. “Noi tutti siamo abituati a pensare che le cose importanti avvengono nel nord dell’Europa, in questi paesi freddi dove vengono prese le decisioni – risponde – e invece il cuore della nostra tradizione, il cuore della nostra cultura è proprio attorno al Mediterraneo. E’ qui che l’uomo già nel VII-VI secolo a.C. ha fatto un balzo in avanti nella consapevolezza di quello che è l’essere, di quello che è il logos che tutti quanti ci abbraccia, di quella che è la filosofia. Esistevano delle idee meravigliose nel Pantheon delle divinità che custodivano e che abbracciavano con tenerezza i popoli che si affacciavano sul Mediterraneo. Mi piacerebbe – magari è un sogno – mi piacerebbe tanto che tornasse il Mediterraneo ad essere veramente il centro delle decisioni, il centro della bellezza, il centro del vivere, del futuro”.
Adriatico (Allevi viene da Ascoli, ndr) o Mediterraneo è di uguale importanza. “Sono Adriatico, però effettivamente i popoli che si affacciano sul mare si riconoscono perché comunque hanno un’attitudine a guardare lontano”. Cos’è la cultura mediterranea per noi oggi? “Credo che sia uno dei doni che la sofferenza e che la fragilità mi hanno fatto. E mi piacerebbe che ci fosse un’inversione di tendenza, perché se davvero vogliamo costruire un mondo più bello, dobbiamo prima di tutto riconoscere la dignità dell’altro, indipendentemente dalle differenze, indipendentemente dal suo stato sociale, indipendentemente da dove viene e dalla geografia, che l’umanità è una”, conclude, prima di salutare la ‘sua’ gente che ha condiviso con lui le emozioni. Non si risparmia, Allevi, dando una parola a ciascuno, incoraggiando e – come dice lui – “attraversando l’oggi come se non ci fosse un domani”.
(Di Serena Sartini)