La leader Pd al primo vero test nazionale da quando guida partito
Roma, 8 giu. (askanews) – Per Elly Schlein è un po’ l’esame di maturità, le europee di oggi e domani saranno il primo vero test a livello nazionale per la leader Pd, tanto più dopo la scelta di scendere in campo come capolista in due circoscrizioni. Sono tante le sfide ballo per la leader democratica, a cominciare da quella più ovvia con la rivale-premier Giorgia Meloni chiamata, candidata in tutte le circoscrizioni e chiamata a sua volta ad test cruciale dopo un anno e mezzo di governo. Ma il voto sarà decisivo anche per mettere alla prova quella “identità ritrovata” del Pd che la Schlein rivendica con orgoglio come risultato della sua segreteria e per regolare un po’ di conti anche nel rissoso campo del centrosinistra. Tante partite in un solo voto, una prova cruciale che in un modo o nell’altro potrebbe segnare anche un cambio di fase all’interno dello stesso Pd.
La Schlein lo sa e non a caso ha investito tutte le sue energie in questa campagna elettorale, il suo giro d’Italia in oltre cento tappe è stato un vero tour de force percorso per sconfiggere innanzitutto un “avversario”, come ha spiegato più volte: l’astensionismo. La leader Pd sa che alle elezioni vince innanzitutto chi riesce a mobilitare i suoi, gli spostamenti da uno schieramento all’altro sono sempre marginali e la vera sfida è rimotivare quelle frange di elettorato demotivate dopo anni di Pd al governo, di politiche fin troppo pragmatiche, alla fine percepite come di mera conservazione dell’esistente. “Siamo qui anche per riparare ai nostri errori”, ha ripetuto spesso la Schlein durante i suoi comizi, citando per esempio la mancata cancellazione della Bossi-Fini tra le colpe del “Pd di governo”.
I temi della campagna elettorale sono scelti dalla leader democratica proprio per parlare a quegli elettori delusi: la sanità, innanzitutto, “che il governo Meloni sta tagliando”, il “salario minimo, perché sotto i 9 euro l’ora non è lavoro ma sfruttamento”, il “congedo paritario retribuito” per entrambi i genitori. Più sullo sfondo è rimasto il tema dell’Ucraina, delicato per il Pd, diviso tra atlantismo e pacifismo. La Schelin conferma il sostegno a Kiev ma aggiunge la richiesta di un “maggiore sforzo diplomatico e politico dell’Ue” per facilitare una soluzione al conflitto. E, soprattutto, ogni volta che ne parla aggiunge subito la richiesta di cessate il fuoco in Medio oriente e del riconoscimento dello stato di Palestina. Così come quando parla di difesa comune europea si affretta a precisare “ma no ad una economia di guerra”. La leader Pd, del resto, non intende lasciare praterie a Giuseppe Conte nell’elettorato pacifista, ha scelto di candidare Marco Tarquinio – indisponendo l’ala più atlantista del partito – pur di dare un segnale anche a quel mondo.
L’obiettivo è superare almeno il 20%, staccando di diversi punti M5s, anche se la Schlein in pubblico si è sempre ben guardata dall’indicare cifre: “L’asticella porta jella”, ripete. Ma la soglia del 20% è nelle cose: il Pd di Enrico Letta nel 2019 prese il 19,1% e dunque il minimo sindacale è migliorare quel risultato. Tenendo conto che nel 2019 Nicola Zingaretti ottenne il 22,7%, con ancora Matteo Renzi e Carlo Calenda nel Pd ma con Articolo 1 di Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani ancora fuori. Superare il 20% e magari attestarsi intorno al risultato del 2019 metterebbe il Pd ben al di sopra delle ambizioni di Giuseppe Conte e assegnerebbe di fatto alla Schlein il ruolo di “perno” della coalizione. La segretaria sa che l’ala moderata del partito difficilmente avrà la forza di mettere in discussione la guida del Pd, ma sa anche molti guardano con attenzione a figure come Paolo Gentiloni e a Beppe Sala come possibili “federatori”.
Ecco allora che le tante partite legate a questo voto si intrecciano tutte insieme: conterà il distacco tra Fdi e Pd, perché si aprirebbe una fase nuova se la Meloni dovesse mostrare qualche sintomo di fatica e il distacco tra i due partiti si riducesse in maniera significativa. Ma, appunto, sarà determinante anche il divario con M5s nel quadro degli equilibri nel campo delle opposizioni. Un anno e mezzo fa la Schlein festeggiò con una citazione, “non ci hanno visti arrivare”. Stavolta l’effetto-sorpresa non è possibile, gli occhi sono tutti puntati su di lei.