“Sbagliato abbassare i prezzi, serve puntare su brand e export”

Milano, 30 mag. (askanews) – “Credo che anche questo sarà un anno molto difficile, il costo del denaro è lo stesso del 2023, e se l’inflazione è un po’ scesa, il potere d’acquisto perduto non è stato compensato. L’unica variazione positiva è che tutti hanno smaltito un po’ d’inventario e quindi saremo in grado di riconoscere marginalità più interessanti al vitivinicoltore, stimolandolo a lavorare meglio. Per vedere un chiaro e generalizzato segno di ripresa dobbiamo guardare al 2025, tenendo conto che ci sarà da fare un aggiustamento sullo stile dei vini”. A parlare è Valentino Sciotti, Ad di Fantini Wines, azienda vitivinicola da lui fondata nel 1994 a Ortona (Chieti), che ha chiuso il 2023 con un fatturato di 87,5 milioni di euro (-4,5% sul 2022) ma con un margine operativo lordo in piccola ma significativa crescita, dal 21,65 al 21,92%.

“Negli Stati Uniti si assiste ad un calo generalizzato dell’importazione di vino che fa pensare a uno spostamento di gusto dei consumatori, e questo ha pesato sul 2023 e peserà sul 2024 così come l’Asia, rimbalzata in negativo dopo la grandissima crescita degli anni precedenti. Ora l’Asia, almeno in certe aree, si è ripresa bene, mentre una garanzia è la Svizzera, mercato che è cresciuto anche in momenti difficili come questo perché rappresenta un target medio-alto e non è un Paese da ‘primo prezzo’, che è la fascia dove si sono evidenziate le maggiori difficoltà” prosegue Sciotti, che mette in luce un altro tema. “In questi ultimi mesi abbiamo assistito ad un fenomeno tanto diffuso quanto paradossale e anomalo: in una fase di forte inflazione e con un aumento costante dei costi di produzione, tante aziende hanno abbassato i prezzi dei loro vini, spaventate tra l’altro da giacenze di magazzino troppo alte” racconta, chiarendo che “è vero che mantenere un magazzino è diventato sempre più caro (noi abbiamo avuto oneri finanziari aggiuntivi pari a circa due milioni di euro) ma queste scelte emergenziali si sono rivelate sbagliate perché hanno assottigliato la marginalità”

“Noi i rincari li abbiamo puntellati scegliendo di collocarci da tempo nella fascia medio-alta del mercato e difendendo il nostro ottimo rapporto qualità/prezzo, convinti che non abbia senso limare il prezzo a scapito della qualità” spiega il Ceo di Fantini Wines, aggiungendo che “abbiamo poi lavorato per consolidare un’identità forte, riaffermato la nostra vocazione all’on trade dopo che ci eravamo ben posizionati sull’off trade durante i lockdown, e infine abbiamo ulteriormente accresciuto l’export che oggi supera il 96%, sfondando quota 90 Paesi in tutto il mondo”. “Questo significa poter mettere in campo una capillarità distributiva in grado di attutire anche le crisi di mercato localizzate, dovute a ragioni politiche o economico-finanziarie” evidenzia, aggiungendo che “non ultimo, nonostante siano sempre stati un punto debole del Meridione, noi abbiamo lavorato molto e bene su bianchi e rosati, e adesso che hanno sopravanzato i rossi quanto a consumi, 54% contro 46%, siamo stati premiati sul mercato e questo conferma che come la capacità di intercettare i trend sia fondamentale”.

Nel calo del consumo di vino nel mondo, preoccupa il ruolo delle giovani generazioni. “Se i giovani si sono un poco allontanati dal prodotto-vino è anche colpa nostra, dobbiamo saper intercettare le nuove tendenze stilistiche” risponde Sciotti, spiegando che “l’uva piace a tutti, il vino no: tutto ciò che perdiamo nel processo di trasformazione dall’uva al vino deve essere visto come un errore. L’omologazione è un falso problema – prosegue l’imprenditore abruzzese – perché se assaggiamo due acini d’uva dello stesso vitigno a cinque giorni di distanza, le differenze di percezione saranno molto ma molto minori rispetto al vino che se ne trarrebbe. Questo significa che in fase di trasformazione sbagliamo qualcosa e ora siamo chiamati a recuperare questo gap: dobbiamo tutti renderci conto che se si cerca la naturalezza, questa sta in un vino fruttato, poiché il vino è prodotto con la frutta, se non sa di frutta è un’anomalia. Un vero vino ‘naturale’ per come lo concepisco io – chiosa – assomiglia quanto a gusto all’acino di partenza e regala piacevolezza”.

Un altro tema attuale e molto discusso è quello dei dealcolati, un mercato in forte crescita anche se ancora di nicchia. “Con il nostro dipartimento interno di ricerca e sviluppo ci siamo mossi già da qualche anno studiarne la fattibilità e abbiamo subito sondato l’interesse dei nostri clienti, specialmente nei mercati che sono più ricettivi e sensibili a queste tendenze” spiega Sciotti ad askanews, chiarendo che “abbiamo però riscontrato scarso interesse e i clienti che si sono detti potenzialmente interessati associavano lo zero alcol ad un prodotto con una fascia di prezzo molto bassa”. “I prezzi per produrli sono però piuttosto alti, perché per togliere l’alcol serve un procedimento molto complesso (oltre che poco sostenibile), e inoltre – chiosa – i vini migliori che abbiamo degustato fino ad oggi mostrano un accettabile struttura aromatica ma a livello gustativo si percepisce solo la dolcezza, così forte da essere molto spesso stomachevole”.

Proprio nell’ottica di guardare al futuro, Sciotti tiene a rimarcare l’importanza del continuo investimento in ricerca e sviluppo dell’azienda. “Quattro anni fa abbiamo comprato 60 microvinificatori da 30 e 50 litri per fare continua sperimentazione – conclude – e questo vuol dire ogni anno portare avanti fino a cento prove di vinificazione diverse: ciò che facciamo noi in un anno, le altre Cantine lo ottengono in trenta”.

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