Uno strumento cruciale per i contribuenti che stanno affrontando situazioni finanziarie complesse è rappresentato dal concordato preventivo, la cui efficacia dipende principalmente dal confronto tra il costo dell’operazione e i benefici derivanti dall’accettazione della proposta dell’Agenzia delle Entrate relativa al reddito.

“Un elemento essenziale per non snaturare la portata dello strumento di compliance – sottolinea Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – è l’art. 22 del D.Lgs. n. 13/2024, che disciplina la cessazione del concordato e che prevede che il concordato cessi di produrre effetto se si verificano determinate condizioni, come l’esistenza di attività non dichiarate o l’indeducibilità di passività dichiarate, per un importo superiore al 30% dei ricavi dichiarati”.

“Le Entrate – prosegue Baldino – dovranno fare affidamento su verifiche analitiche per determinare se le condizioni per la cessazione siano soddisfatte. Non saranno sufficienti per dimostrare la mancata dichiarazione di attività o l’indeducibilità di passività dichiarate, le presunzioni semplici, ancorché gravi, precise e concordanti”.

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