Nessuna vittima, ma Netanyahu tentato da rappresaglia
Roma, 14 apr. (askanews) – Il temuto attacco iraniano a Israele è arrivato: un attacco essenzialmente dimostrativo, che non ha causato vittime immediate ma rischia di innescare una spirale di rappresaglie che porterebbe a una inevitabile escalation nella regione – l’incubo di un’Amministrazione Biden alle prese con il difficile periodo della campagna per la Casa Bianca e che trova sempre più difficile a contenere la crisi.
L’operazione “Vera Promessa” è stata un attacco dimostrativo non tanto nelle proporzioni, quanto negli esiti. Oltre 200 i missili e droni lanciati contro Israele, in un’esibizione di muscoli intesa a trasmettere il messaggio che Teheran è una potenza militare tutt’altro che trascurabile; allo stesso tempo, con la consapevolezza che ben pochi avrebbero potuto mai colpire il bersaglio dato il largo preavviso.
Teheran – che contrariamente a quanto avevano riferito alcune fonti legate ai pasdaran – non ha infatti usato missili balistici in grado di coprire la distanza in pochi minuti, ma droni e missili da crociera che hanno tardato diverse ore ad arrivare a destinazione – destinazione specificata in anticipo dagli iraniani come bersagli di natura militare sul Golan e nel Negev.
Di fatto, il 99% dei proiettili lanciati stata intercettato dalle forze israeliane, statunitensi e giordane, la maggior parte ancora fuori dallo spazio areo dello Stato ebraico; i danni sono stati minimi, senza vittime dirette in quella che la missione iraniana all’Onu ha definito un ricorso alla legittima difesa dopo il bombardamento del consolato di Damasco, dichiarando la questione “conclusa”.
Se così fosse, nessuno sarebbe più contento di Biden: il Presidente non è riuscito a dissuadere Teheran dalla rappresaglia, un compito che era certamente difficile; ma convincere Netanyahu a non reagire a sua volta non sembra meno complesso, se il Segretario alla Difesa Lloyd Austin ha chiesto pubblicamente a Israele di informare Washington prima di qualsiasi eventuale iniziativa militare.
Vale a dire che la Casa Bianca teme un altro errore di calcolo come il raid su Damasco, condotto senza riflettere sulle conseguenze per la regione: i 25 minuti di telefonata fra Biden e Netanyahu hanno probabilmente riguardato la necessità quanto meno di consultarsi con gli alleati prima di prendere ulteriori iniziative affrettate – richiesta a cui Israele avrebbe al momento acconsentito.
Non a caso poi Biden ha insistito sul fatto che quella di stanotte è stata una vittoria israeliana, con tutti i missili e droni abbattuti e danni del tutto trascurabili, e che non parteciperà ad alcuna operazione offensiva diretta contro Teheran: insomma, basta così.
Fonti governative israeliane hanno invece già minacciato una “risposta decisiva” e anche in tempi brevissismi; al di là della retorica, rimane il fatto che Netanyahu per motivi di sopravvivenza politica difficilmente potrà permettersi di non fare nulla, anche alla luce degli scarsi risultati pratici dell’offensiva su Gaza per quanto riguarda il rilascio degli ostaggi.
Il premier israeliano rischia infatti di uscirne con le ossa rotte: “Mr Sicurezza”, che ha già fallito il 7 ottobre, non è riuscito a evitare un attacco diretto iraniano – e poco importa che non abbia avuto conseguenze gravi – e la tentazione, alimentata dalla destra nazionalista e religiosa che sostiene il governo – è quella di alzare di nuovo la posta – uno scenario che la Casa Bianca intende evitare con ogni mezzo.
Il secondo grande perdente infatti rischia di essere Biden: Donald Trump ha immancabilmente fatto notare che con lui alla Casa Bianca “non sarebbe successo”, e una crisi mediorentale – come se non bastasse quella ucraina – rischia di polarizzare un elettorato che per una volta potrebbe decidere di votare sulla base della politica estera.
Viceversa, contenere e possibilmente riuscire a risolvere il conflitto prima delle elezioni consentirebbe a Biden di concentrarsi su quello che di solito è il fattore decisivo della corsa: gli ottimi risultati economici; ma il principale ostacolo sulla strada per la rielezione è un alleato riottoso, che non può permettersi di lasciare da solo ma che al momento non appare in grado di controllare.
Al momento le prossime tappe della diplomazia, già nella giornata di oggi, saranno una riunione del G7 e una del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con l’obbiettivo di ottenere una condanna unanime dell’attacco iraniano – e soprattutto guadagnare tempo prezioso per cercare di disinnescare l’escalation.