Il suo difensore: “Resto convinto della sua innocenza”
Brescia, 7 mar. (askanews) – Nessuna revisione della condanna, nessuno sconto di pena: Piercamillo Davigo è stato condannato anche nel secondo grado di giudizio per il caso della diffusione dei verbali segreti sulla Loggia Ungheria. La Corte d’Appello di Brescia ha infatti confermato la condanna a 1 anno e 3 mesi di reclusione (con pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario) per rivelazione del segreto d’ufficio, la stessa pena che venne inflitta all’ex consigliere del Csm nel giugno scorso nel processo di primo grado.
Davigo, ora in pensione, era presente in aula al momento della lettura del verdetto ma dopo la sentenza ha lasciato il palazzo di giustizia di Brescia senza rilasciare nessuna dichiarazione a telecamere e giornalisti. “Continuo ad essere convinto dell’innocenza del mio assistito. Leggeremo le motivazioni e ricorreremo in Cassazione”, ha commentato l’avvocato Davide Steccanella che lo difende insieme al collega Francesco Borasi.
Il caso giudizario che ha travolto il magistrato simbolo della stagione delle inchieste di Tangentopoli riguarda il passaggio di mano e la successiva diffusione dei verbali con gli interrogatori segreti resi nel dicembre 2019 da Piero Amara, legale esterno di Eni, al pm milanese Paolo Storari: interrogatori in cui Amara aveva rivelato l’esistenza della cosiddetta “Loggia Ungheria”, un’associazione segreta che – secondo il legale siciliano – sarebbe stata in grado di pilotare nomine nella magistratura e nei più importanti incarichi pubblici. Rivelazioni che secondo il pm Storari andavano verificate tempestivamente, attraverso una serie atti investigativi e alcune iscrizioni nel registro degli indagati. Ma le sue richieste di procedere con indagini mirate sarebbero state ignorate dai vertici della procura Milano, tanto da spingerlo a consegnare il plico con i verbali di Amara all’allora consigliere del Csm Davigo. Dopo aver ricevuto i verbali da Storari, Davigo ne consegnò una copia all’allora vicepresidente del Csm David Ermini che nel corso della sua testimonianza nell’aula del Tribunale di Brescia assicurò: “Quei verbali li ho distrutti. Erano non utilizzabili, non firmati ed erano arrivati in modo non ufficiale”.
Ermini parlò comunque della vicenda con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, mentre Davigo rivelò il contenuto dei verbali all’allora procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, all’ex presidente della Suprema Corte, Pietro Curzio, e tre componenti del comitato di Presidenza del Csm. Tra gli altri, fu messo al corrente della vicenda anche l’allora presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il senatore pentastellato Nicola Morra. Una copia di quei verbali secretati che fu anche consegnata ad alcuni organi di stampa: una fuga di notizie che ha portato sotto processo a Roma Marcella Contraffatto, ex segretaria di Davigo al Csm, poi prosciolta dalle accuse.
Tra i presunti iscritti alla Loggia Ungheria figurava anche il nome dell’ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita che, nella convinzione di aver subito un pesante danno di immagine dalla diffusione dei verbali, si è poi costituito parte civile nel processo contro Davigo. “Non c’è da sorpredersi, visto che in fondo l’imputato aveva anche confessato di aver commesso i reati per i quali oggi è stata confermata la condanna”, ha puntualizzato dopo la lettura della sentenza l’avvocato di parte civile Fabio Repici che assiste Ardita. Secondo il legale, la sentenza di secondo grado ha “anche confermato che Davigo ha agito al fine di screditare Ardita in un momento delicato della vita del Csm e in un momento in cui Ardita al Csm era un ostacolo da abbattere”. La speranza, ora, è che “si possa mettere un punto su questo”. Perciò, ha sottolineato ancora Repici, “confido che a Milano si potranno individuare ed accertare le ragioni che portarono Piero Amara a verbalizzare le calunnie che furono poi divulgate da Davigo. Penso che si potranno individuare sia gli interessi che hanno mosso Amara sia i danti causa del suo operato”.
L’altro protagonista della vicenda, il pm Storari, è finito sotto processo per la stessa accusa ma è già stato assolto in via definitiva. Il magistrato milanese raccontò di aver consegnato i verbali con gli interrogatori secretati di Amara a Davigo come atto di “autotutela” di fronte al presunto “immobilismo” dei suoi diretti superiori che non intendevano – sempre secondo Storari – minare la credibilità di Amara, uno dei testimoni chiave della procura di Milano nel processo sulla presunta maxi corruzione di Eni e Shell in Nigeria che si è chiuso con l’assoluzione dell’ad di Eni, Claudio Descalzi, del suo predecessore Paolo Scaroni e di tutti agli altri imputati. Quanto è bastato per spingere la procura di Brescia, titolare nelle indagini che coinvolgono le “toghe” milanesi, ad avviare un’indagine nei confronti dell’allora procuratore di Milano, Francesco Greco, per far luce su eventuali omissioni nella gestione dell’inchiesta sulla Loggia Ungheria. Ma il fascicolo che vedeva l’ex capo della procura meneghina indagato per omissione d’atti d’ufficio è stato archiviato su richiesta degli stessi pm di Brescia.
Di Francesco Catanzaro