Individuate da uno studio italiano
Roma, 6 mar. (askanews) – Onnipresenti, le micro- e nanoplastiche attaccano anche il cuore con effetti dannosi fino ad oggi sconosciuti e mai provati prima. Dopo averle trovate nell’uomo in diversi organi e tessuti, tra cui la placenta, il latte materno, fegato e polmoni, compresi i tessuti cardiaci, uno studio italiano rivela per la prima volta la loro presenza perfino nelle placche aterosclerotiche, depositi di grasso nelle arterie pericolose per il cuore e fornisce soprattutto prova inedita della loro pericolosità. I dati raccolti mostrano infatti che le placche aterosclerotiche “da inquinamento” sono anche più infiammate della norma, quindi più friabili ed esposte a rischio di rottura con un aumento almeno 2 volte più alto del rischio di infarti,ictus e mortalità rispetto a placche aterosclerotiche che non sono infarcite di plastica. Lo ha verificato un ampio studio italiano coordinato da ricercatori dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, oggi pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine, che dimostra come le placche aterosclerotiche contengano spesso micro e nanoplastiche a base di polietilene (PE, rilevato nel 58.4% dei casi) o polivinilcloruro (o PVC, individuato nel 12.5% dei casi), due dei composti plastici di maggior consumo nel mondo, utilizzati per realizzare prodotti che vanno dai contenitori ai rivestimenti, dalle pellicole plastificate a materiali per l’edilizia.
Lo studio italiano è accompagnato da un editoriale della rivista che definisce la ricerca “una scoperta rivoluzionaria che solleva una serie di domande urgenti: l’esposizione a microplastiche e nanoplastiche può essere considerato un nuovo fattore di rischio cardiovascolare? Quali organi oltre al cuore possono essere a rischio? Come possiamo ridurre l’esposizione?”, scrive l’epidemiologo Philip J. Landrigan, fondatore e direttore del Global Public Health Program del Boston College e del Global Pollution Observatory all’interno dello Schiller Institute for Integrated Science and Society, che firma l’editoriale. “Il primo passo è riconoscere che il basso costo e la convenienza della plastica – continua – sono ingannevoli e che, di fatto, nascondono grandi danni, come il contributo della plastica agli esiti associati alla placca aterosclerotica. Dobbiamo incoraggiare i nostri pazienti a ridurre l’uso della plastica, in particolare degli articoli monouso non necessari e sostenere il Trattato Globale sulla Plastica delle Nazioni Unite per rendere obbligatorio un tetto globale alla produzione di plastica. Come per i cambiamenti climatici anche la risoluzione dei problemi associati alla plastica richiederà una transizione su larga scala dal carbonio fossile”. L’indagine è stata condotta su 257 pazienti con oltre 65 anni sottoposti a un’endoarterectomia per stenosi carotidea asintomatica, procedura chirurgica durante la quale sono state rimosse placche aterosclerotiche che poi sono state analizzate con il microscopio elettronico così da rilevare l’eventuale presenza di micro- e nanoplastiche, ovvero particelle plastiche con un diametro rispettivamente inferiore a 5 millimetri o a 1 micron (0,001 millimetri). “L’analisi ha dimostrato la presenza di particelle di PE a livelli misurabili (circa 20 microgrammi per milligrammo di placca) nel 58.4% dei pazienti e di particelle di PVC (in media 5 microgrammi per milligrammo di placca)nel 12.5% – dichiara Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e Ordinario di MedicinaInterna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” -; soprattutto, tutti i partecipanti sono stati seguiti per circa 34 mesi e si è osservato che in coloro che avevano placche ‘inquinate’ dalle plastiche il rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause era almeno raddoppiato rispetto a chi non aveva placche aterosclerotiche contenenti micro e nanoplastiche,indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari come età, sesso, fumo, indice dimassa corporea, valori di colesterolo, pressione e glicemia o precedenti eventi cardiovascolari. I datimostrano inoltre un incremento locale significativo di marcatori dell’infiammazione in presenza dellemicro- e nanoplastiche”. “L’effetto pro-infiammatorio potrebbe essere uno dei motivi per cui le micro e nanoplastiche comportano una maggiore instabilità delle placche e quindi un maggior rischio che si rompano, dando luogo a trombi e provocando così infarti o ictus – spiega Raffaele Marfella, ideatore dellostudio e Ordinario di Medicina Interna dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” -. Dati raccolti in vitro e negli animali da esperimento hanno già mostrato che le micro- e nanoplastiche possono promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione nelle cellule dell’endotelio che ricopre i vasi sanguigni, ma anche che possono alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e alterazioni della funzionalità del cuore: questi risultati mostrano per la prima volta nell’uomo una correlazione fra la presenza di micro- e nanoplastiche e un maggior rischio cardiovascolare”.