Hamas resta al Cairo per colloqui. Ma Israele chiede lista ostaggi
Roma, 6 mar. (askanews) – I negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas sono in una fase di stallo, dopo due giorni di colloqui al Cairo, in Egitto, tra il movimento palestinese e i mediatori internazionali, disertati da Israele. Appare sempre più difficile, dunque, raggiungere l’obiettivo di una pausa nei combattimenti prima dell’inizio del mese sacro di Ramadan, il 10 marzo. Hamas, che ha confermato che nessun passo in avanti è stato compiuto durante gli ultimi incontri sulla proposta di tregua di sei settimane, ha comunque deciso di tenere la sua delegazione negoziale nella capitale egiziana per continuare a trattare. Mentre secondo il Wall Street Journal, i mediatori di Egitto, Qatar e Stati Uniti avrebbero proposto una tregua a breve termine della durata di pochi giorni, per guadagnare tempo e costruire fiducia tra Israele e il gruppo palestinese al governo a Gaza.
L’egiziano Al-Qahera News, vicino ai servizi di intelligence del paese, ha affermato che “i negoziati sono difficili ma stanno continuando”. Secondo funzionari che hanno familiarità con i colloqui, negli ultimi due giorni i mediatori internazionali hanno esercitato pressioni su Hamas affinché producesse un elenco di ostaggi da rilasciare come primo passo verso un accordo di cessate il fuoco graduale con Israele. Lo Stato ebraico in particolare avrebbe chiesto ad Hamas di presentare un elenco di 40 anziani, malati e donne in ostaggio da rilasciare con l’inizio del Ramadan. Fonti diplomatiche a Washington hanno spiegato che non è chiaro cosa abbia impedito al gruppo palestinese di produrre questo elenco, sottolineando che simili incertezze hanno finito per far crollare l’ultima speranza di tregua entro pochi giorni.
Così, gli Stati Uniti hanno suggerito che, di fatto, sia stato Hamas a ostacolare i colloqui. “Non ci sono scuse, dobbiamo portare più aiuti a Gaza. Il cessate il fuoco è nelle mani di Hamas in questo momento”, ha detto ieri il presidente Joe Biden ai giornalisti. Una posizione confermata anche dal segretario di Stato Antony Blinken. “Spetta ad Hamas decidere se è disposto a impegnarsi”, ha precisato. “Abbiamo l’opportunità per un cessate il fuoco immediato che può riportare a casa gli ostaggi, che può aumentare drasticamente la quantità di aiuti umanitari che arrivano ai palestinesi che ne hanno così disperatamente bisogno, e può creare le condizioni per una soluzione duratura”, ha commentato ancora Blinken.
Ma il movimento palestinese ha respinto le accuse al mittente. Il gruppo ritiene di aver mostrato la “flessibilità richiesta” durante i colloqui. Viceversa, secondo Hamas, sarebbe stato Israele a rifiutarsi di soddisfare le richieste del gruppo per un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati di Gaza alle loro case nel nord e per “provvedimenti per i bisogni delle persone” nell’enclave palestinese. Resterebbe, comunque, la disponibilità a proseguire i colloqui. “Continueremo a negoziare attraverso i nostri fraterni mediatori per raggiungere un accordo che soddisfi le richieste e gli interessi del nostro popolo”, ha spiegato Hamas in una dichiarazione alla stampa. Un alto funzionario del gruppo, Osama Hamdan, ha poi ribadito le richieste del gruppo: un cessate il fuoco permanente, piuttosto che una pausa di sei settimane, e un “ritiro completo” delle forze israeliane. “La sicurezza e l’incolumità del nostro popolo potranno essere raggiunte solo con un cessate il fuoco permanente, con la fine dell’aggressione e con il ritiro da ogni centimetro della Striscia di Gaza”, ha detto Hamdan.
A questo proposito, secondo l’Associated Press, Hamas avrebbe presentato una proposta che i mediatori discuteranno con Israele nei prossimi giorni. Secondo quanto riferito, inoltre, gli stessi mediatori avrebbero in programma un incontro con la delegazione del movimento palestinese già oggi al Cairo. Resta però il nodo degli ostaggi. Quando gli è stato chiesto se Hamas avesse una lista delle persone sequestrate, ancora in vita e da rilasciare, Hamdan ha risposto che la questione non sarebbe rilevante ai fini dei colloqui ed ha accusato Israele di utilizzarla come scusa per evitare di impegnarsi nei negoziati.
Intanto, gli Stati Uniti hanno rivisto e corretto la loro bozza di risoluzione da sottoporre al voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, al fine di sostenere “un cessate il fuoco immediato di circa sei settimane a Gaza insieme al rilascio di tutti gli ostaggi non appena le parti saranno d’accordo”. La terza revisione del testo – proposto per la prima volta dagli Stati Uniti due settimane fa – riflette ora le schiette osservazioni della vicepresidente Kamala Harris, che ha chiesto a Israele di fare di più per alleviare la “catastrofe umanitaria” a Gaza.
Nella loro ultima bozza, gli Usa sostengono un cessate il fuoco temporaneo per “intensificare gli sforzi diplomatici e di altro tipo volti a creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità e una pace duratura”. Le prime bozze della risoluzione statunitense richiedevano invece un “cessate il fuoco temporaneo a Gaza non appena possibile”, una formulazione respinta dalla maggior parte degli altri membri del Consiglio di Sicurezza.
Di questa mattina è inoltre una dichiarazione congiunta dell’Australia e dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, o Asean, che chiede “un cessate il fuoco umanitario immediato e duraturo” a Gaza, dopo giorni di dispute diplomatiche sul testo, inizialmente bloccato da Singapore per un passaggio sulla “fame” usata come arma a Gaza, particolarmente invisa a Israele. “Condanniamo gli attacchi contro tutti i civili e le infrastrutture civili, che portano ad un ulteriore deterioramento della crisi umanitaria a Gaza, compreso l’accesso limitato al cibo, all’acqua e ad altri bisogni fondamentali”, si legge nella dichiarazione rilasciata al termine di un vertice di tre giorni a Melbourne, che chiede inoltre l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi.