La sentenza della Corte di Cassazione
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2746/2024 fa luce su alcuni principi relativi alla prova contraria in materia di ‘Redditometro’.
Nel caso in esame, relativo ad un avviso di accertamento che ha rettificato in via sintetica il reddito di due coniugi, la CTR del Veneto – evidenzia Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – aveva accolto l’impugnazione dei contribuenti, sostenendo che per superare la presunzione di cui all’art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, bastava dimostrare, per l’anno accertato, di aver avuto la disponibilità finanziaria sufficiente a giustificare il tenore di vita riscontrato dall’Ufficio.
In disaccordo l’Agenzia delle Entrate che ha proposto ricorso in Cassazione.
“La Suprema Corte ha rigettato l’interpretazione della Corte veneta – aggiunge – sostenendo che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi, ma bisogna anche fornire prove documentali su circostanze sintomatiche che dimostrino che tali redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate”.
La normativa, infatti, richiede una prova documentale sull’entità di tali eventuali ulteriori redditi e sulla durata del relativo possesso.
“Gli Ermellini hanno poi chiarito che il nuovo comma 5-bis dell’art.7 del D.Lgs. n.546/1992 – conclude Rosignoli – ribadisce l’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, ma non modifica l’onere probatorio vigente in caso di presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio”.
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