A Torino un incontro su “L’identità e il valore della comunità”

Torino, 30 gen. (askanews) – “Quando l’offerta è limitata e la domanda aumenta, i prezzi vanno alle stelle e il valore dei nostri terreni, dei nostri asset, è cresciuto tantissimo: questo significa che se oggi una delle nostre Cantine vuole acquistare un ettaro di Barolo devo spendere dai due ai quattro milioni di euro e questo è un problema, perché per ripagarselo servono quattro generazioni e quindi dal punto di vista economico non ha nessun senso, è un valore patrimoniale, esclusivamente finanziario”. A dirlo è Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, a margine dell’incontro “Changes – Langhe (not) for sale – L’identità e il valore della comunità” che si è tenuto il 29 gennaio all’Officine grandi riparazioni (Ogr) di Torino nell’ambito di “Grandi Langhe 2024”.

A scatenare l’aumento incontrollato dei terreni vitati della zona più esclusiva del vino piemontese (meno di 2.000 ettari per il il Barolo e meno di 800 per il Barbaresco), sono stati principalmente i “grandi investitori esterni” che negli ultimi quindici anni hanno conquistato “tra il 15 e il 20%” delle Cantine delle Langhe. La “voracità” dei grandi gruppi e dei fondi di investimento che nel vino vedono un asset al pari di qualsiasi altro prodotto, e applicano logiche che snaturano completamente la cultura del territorio è un tema attuale e importante non solo qui ma in tutte le zone del nostro Paese fortemente votate alla produzione di vino di qualità. “Questo tipo di evoluzione è per certi versi inevitabile e non esiste una soluzione, perché le scelte di vendere o non vendere sono assolutamente personali, familiari, aziendali e noi non vogliamo entrarci, ma vogliamo che ci sia la consapevolezza che si tratta di decisioni che hanno un impatto sulla comunità. Dobbiamo avere chiaro cosa eravamo, cosa siamo diventati e perché” precisa Ascheri, sollevando un altro tema oltre al prezzo della terra che in Barolo è il più alto d’Italia, e cioé quello del capitale umano locale, il cui depauperamento rischia di compromettere il futuro del vino di questo magnifico e prezioso angolo di Piemonte, e in particolare della produzione delle punte di diamante Barolo e Barbaresco.

“Di vino se ne consumerà sempre meno ma di qualità sempre più alta e il problema più grosso sarà quello dell’omologazione” prosegue il 62enne produttore di Bra (Cuneo) evidenziando che “il fattore umano non è solo un tema di proprietà, l’elemento umano è intrinseco nel nostro successo: il mondo delle Langhe è eterogeneo ed è proprio questo caleidoscopio che le rende un unicum”. “La nostra forza consiste nell”irregolarità’: se dalle nostre aziende togliamo la famiglia, andiamo verso l’omologazione ed è come se segassimo il ramo sul quale siamo seduti” continua, parlando di “un problema etico, di comunità” e puntando a smuovere se non le coscienze almeno “l’orgoglio e l’amor proprio” dei suoi colleghi vigneron.

Per spiegare con una battuta come è cambiato il paradigma negli ultimi anni, il presidente del Consorzio ricorda che “una volta quando uno vendeva non lo diceva a nessuno perché si vergognava e chi acquistava non lo diceva a nessuno perché non voleva che si sapesse che aveva speso un sacco di soldi: oggi la prima cosa è fare un comunicato stampa per dirlo a tutti”. “Un tempo – prosegue – il figlio di un contadino lavorava il vigneto, poi si è evoluto e ha incominciato a gestire la Cantina e adesso fa l’export manager e in vigneto non ci va più: è un’evoluzione naturale ma dobbiamo rendercene conto. Serve consapevolezza perché non è possibile pensare ad uno sviluppo che non passi da un mantenimento dei nostri valori distintivi – conclude Ascheri – contano le persone, le loro tradizioni e le loro storie: è questo il patrimonio che dobbiamo passare alle prossime generazioni per poter garantire loro un futuro prospero”.

All’incontro, che ha aperto l’ottava edizione della due giorni di presentazioni e anteprime delle nuove produzioni vinicole di ben 300 produttori di Langhe e Roero, è stata presentata una ricerca realizzata dall’Università Cattolica di Milano e Brescia sui fattori che determinano o ostacolano la vendite delle aziende vitivinicole del territorio langarolo. Indagine che, in estrema sintesi, ha evidenziato nei produttori locali (con sfumature diverse tra under e over 40), un forte legame con la proprie radici e la propria storia imprenditoriale che portano ad uno scarso interesse, se non ad una dichiarata diffidenza, verso eventuali investitori esterni, ancor più se estranei al mondo del vino.

Il Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani tutela quattro Docg e cinque Doc e riunisce 568 soci con circa 10mila ettari vitati sul territorio di 96 Comuni, che producono un totale che si aggira sui 66 milioni di bottiglie.

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