“Paese importante per il gruppo, al momento no nuove acquisizioni”

Milano, 1 dic. (askanews) – “L’impegno oggi è di continuare a investire in Italia in modo sistematico anche nei prossimi anni”, con una media di 60 milioni all’anno. L’amministratore delegato di Lactalis Italia, Giovanni Pommella, ribadisce la centralità del nostro Paese nella strategia di crescita del gruppo francese annunciando un investimento per il biennio 2023-2024 di 160 milioni di euro, di cui 63 già investiti quest’anno, 70 previsti il prossimo anno e ulteriori 26 destinati al nuovo headquarter milanese, nella Torre Nuvolari a sud-ovest della città, dove lavoreranno i 350 dipendenti.

“Oggi – ha detto – riaffermiano il valore e il senso di Lactalis in Italia”, sottolineando “i legami stretti col territorio” che ha il gruppo lattiero caseario francese attraverso le sue sei attività: Galbani formaggi e salumi, Parmalat, Leerdammer, Castelli e l’ultima, in ordine di tempo, Ambrosi specializzata in Grana Padano e Parmigiano. “Noi non siamo una multinazionale ma un’azienda multilocale” ha affermato presentando lo studio sull’impatto Paese condotto da The European House – Ambrosetti.

Nel futuro prossimo l’ad non vede all’orizzonte nuove acquisizioni: “Al momento non ci sono evidenze, anche da un punto di vista dell’organizzazione potrebbe essere meglio riuscire a gestire l’attuale. Abbiamo fatto tre acquisizioni in quattro anni – ha detto – un po’ di tranquillità aiuterebbe a consolidare. Un’acquisizione è un impegno importante per le organizzazioni e per le persone perchè chi entra deve capire dove è arrivato e bisogna integrare le attività – è stato il suo ragionamento – poi dopo vedremo quello che succederà, fermo restando che l’Italia resta un Paese importante per il gruppo ed è potenzialmente possibile che vengano fatte altre acquisizioni nel perimetro del Paese”. E “se devo immaginare qualcosa più nel mondo caseario”, i salumi invece, che pesano per il 6,2% del fatturato, “non sono una attività core”.

Lactalis è oggi il primo acquirente di latte dalla filiera italiana, con 1,5 miliardi di litri all’anno, pari all’11,7% del valore complessivo della produzione nazionale da 16 Regioni e conta su un fatturato di 2,9 miliardi di euro nel 2022, pari al 14,5% del totale del comparto. Nell’ultimo quinquennio ha fatto “investimenti strutturali e industriali” nel nostro Paese pari a 248 milioni, di cui circa l’88% è destinato a miglioramento, manutenzione e ammodernamento dei propri stabilimenti, 31 in tutto sparsi lungo lo Stivale. E anche l’investimento nel biennio 2023-24 va in questa direzione: “Noi stiamo continuando la parte di investimenti legati all’area energetica con investimenti ulteriori nel mondo dei pannelli fotovoltaici – ha spiegato Pomella – c’è il rinnovamento dei cogeneratori e dei trigeneratori e stiamo iniziando a fare i primi passaggi per l’evoluzione dalla cogenerazione a gas alla cogenerazione a biomasse, continuiamo ad andare in una direzione di autoproduzione sempre più sostenibile”. Altro fronte su cui si muove è quello del packaging “Ci sono investimenti nel mondo del latte e dei formaggi per passare a materiali riciclabili. Il pet è la strada che abbiamo scelto per quanto riguarda il latte, per quanto riguarda i formaggi, invece, il passaggio è verso i monomateriali che sono perfettamente riciclabili rispetto a quelli usati oggi che sono materiali poliaccoppiati. Stiamo investendo progressivamente perchè abbiamo stabilimenti molto grandi e gli investimenti vanno scaglionati”.

Gli investimenti in ricerca e sviluppo, aumentati dell’8,2% nell’ultimo quinquennio e previsti in crescita tra il 2022 e il 2024, riguardano anche i prodotti. A tal proposito l’ad ha sottolineato la necessità di “lavorare sulla definizione a livello normativo del prodotto”, con ciò alludendo alla “necessità di fare passi avanti per sfruttare risorse preziose come l’acqua, L’adeguamento normativo è più che altro legato alla parte di processo – ha precisato – Ci sono poi gli aspetti legati alla durabilità dei prodotti per esempio la normativa sul latte pastorizzato che obbliga una scadenza a 6 giorni”. “Oggi – ha messo in luce – è difficilmente sostenibile perché un prodotto dopo sei giorni potenzialmente può essere ancora consumato ma in realtà dal settimo giorno viene considerato un rifiuto. Ecco questi sono passaggi che possono aiutare tutto il sistema a lavorare meglio”.

Per ora gli investimenti non riguardano invece prodotti alternativi al latte: “Non siamo particolarmente interessati, siamo latte formaggio e non abbiamo l’attitudine mentale per pensare a quella che è una alternativa al formaggio. La nostra focalizzazione è un formaggio, le Dop sono una parte fondamentale di questa strategia”. Più che altro l’innovazione rimane un aspetto importante per rispondere ad alcune richieste del mercato: “Oggi abbiamo alcuni trend come quello delle proteine dove noi facciamo un po’ più fatica perchè il formaggio è già ricco di proteine, ci sono però aspetti legati al contenuto di grassi, sale o di prodotti senza lattosio su cui lavorare e costruire prodotti interessanti andando incontro alle nuove abitudini di consumo senza uscire dalla produzione del formaggio ma facendo prodotti attenti a chi ha esigenze diverse”.

In termini di ricadute economiche, intese come giro d’affari diretto, indiretto e indotto, in Italia Lactalis genera 7,6 miliardi di euro, sulla base dei dati 2022. “Sommando gli effetti diretti a quelli indiretti e indotti nell’economia, Lactalis ha generato quasi 2,8 miliardi di euro di Pil nel 2022, in crescita del 24,7% rispetto al valore che avevamo calcolato due anni fa per l’anno 2020 – ha dichiarato Emiliano Briante, associate partner e responsabile Business & policy impact, The European House Ambrosetti – Lactalis rappresenta inoltre la prima realtà internazionale dell’agroalimentare per numero di occupati in Italia, con oltre 5.300 dipendenti diretti. Anche in questo caso l’impatto indiretto e indotto porta il contributo occupazionale della presenza del Gruppo in Italia a oltre 23.500 occupati complessivamente sostenuti lungo le diverse filiere attivate. Si tratta di un incremento del 23,6% rispetto al 2020”.

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