Presidente: qualche perla ci manca, penso a Barolo, Brunello, Bolgheri
Milano, 27 nov. (askanews) – “Stiamo ragionando sul modificare il portfolio del Gruppo, per ‘premiumizzarlo’ di più: in Italia siamo già presenti in diversi territori molto vocati per la produzione di vini di qualità ma qualche perla ci manca, penso al Barolo, al Brunello e a Bolgheri”. E’ quanto ha affermato ad askanews, Domenico Zonin presidente del Gruppo vinicolo Zonin 1821 che, alla domanda sulla possibilità di eventuali acquisizioni nel prossimo anno, risponde “vedremo, il mondo del vino è molto lento: la nostra azienda ha duecento anni, la vendemmia avviene una volta all’anno e quindi anche i cambiamenti hanno una velocità che è a volte un po’ frustante”. “Lo sforzo sul fronte della qualità, del prezzo e del posizionamento proseguirà anche nei prossimi anni, è un processo che abbiamo intrapreso anni fa e continueremo a farlo ma sempre con molta prudenza” aggiunge il presidente, ricordando che “il vecchio consulente enologo della nostra Cantina, il celebre Denis Dubourdieu,(l’ex direttore dell’Isvv di Bordeaux scomparso nel 2016, ndr) mi diceva sempre che ‘la differenza tra i francesi e gli italiani è abbastanza evidente: ai francesi piace il lusso ogni tanto, agli italiani piace il buono tutti i giorni’. E’ giusto dunque ‘premiumizzare’ ma bisogna stare attenti a qual è il nostro Dna, a dove siamo bravi, e a non esagerare”.
Presente in più di 140 Paesi in tre Continenti con oltre 500 collaboratori che operano in Italia e nelle filiali degli Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Svezia, il Gruppo di Gambellara (Vicenza), produce e distribuisce non solo i vini fermi e gli spumanti a marchio Zonin, ma anche quelli delle Tenute italiane Ca’ Bolani in Friuli, Castello del Poggio in Piemonte, Tenuta Oltrenero in Lombardia, Castello di Albola e Rocca di Montemassi in Toscana, Masseria Altemura in Puglia e Principi di Butera in Sicilia. A cui si sommano le due Tenute estere: Barboursville Vineyards in Virginia (Stati Uniti) e Dos Almas in Cile. Completano il porfolio i brand Ca’ Vescovo, Sette Archi, Feudo del Principe, Sant’Ilario, San Zeno e Conti Buneis. Complessivamente, Zonin 1821 conta così su oltre quattromila ettari di cui 1.600 vitati, grazie ai quali nel 2022 ha prodotto circa 50milioni di bottiglie, di cui l’85% è stato esportato. I vini delle Tenute finiscono quasi tutti nel canale Horeca, mentre il 70% di quelli a marchio Zonin vanno nella Gdo.
Il Gruppo ha chiuso il 2022 con un fatturato di poco meno di 200 milioni di euro, classificandosi al sesto posto tra le prime dieci Cantine private italiane. Per l’anno in corso il presidente si dimostra cauto. “Il 2023 è un anno molto complesso perché gli effetti dell’inflazione si fanno sentire in maniera pesante su diversi mercati ma nonostante lo scenario non facile, la nostra azienda sta crescendo in diversi Paesi, tra cui l’Italia” spiega Zonin, precisando che c’è una “situazione più complessa per quanto riguarda gli Stati Uniti che dopo 30 anni di crescita continua nei consumi del vino, quest’anno segnano un po’ il passo soprattutto sul vino importato”. “Il 2023 e il 2024 saranno anni complicati soprattutto per gli effetti inflattivi, aumento dei costi e riduzione del potere di spesa: fattori questi che ci preoccupano maggiormente perché creano instabilità quando si cerca di andare avanti” chiosa Zonin, che si dimostra meno preoccupato in merito al calo nei consumi del vino rosso in diversi Paesi. “Sono tendenze di mercato che ci sono sempre state, se penso agli anni Settanta, in Italia nessuno beveva rosso e tutti bevevano bianco, poi c’è stato il ventennio dei rossi, con l’esplosione dell’Amarone, del Brunello, del Chianti Classico, e adesso è il periodo delle ‘bollicine’ e sta tornando il periodo dei bianchi, mentre i rossi soffrono un po’ di più: è ciclico, non c’è nulla di cui preoccuparsi, sono fasi” spiega, ricordando che “noi abbiamo cercato di mettere assieme un portafoglio di prodotti equilibrato, con vini rossi, bianchi e bollicine che provengono da diversi territori, perché è giusto che ogni territorio abbia una sua specializzazione: quindi se per dieci anni va una categoria più di un’altra, noi riusciamo comunque a cavalcare i trend di mercato senza problemi”.
E a proposito di “bollicine”, il mercato registra una crescita costante negli ultimi dieci anni, con il 2022 che ha visto la produzione italiana di spumanti avvicinarsi al miliardo di bottiglie. Un numero record che rende difficile immaginare ulteriori exploit, se non per il Metodo Classico, che oggi rappresenta meno del 10% della produzione di “bollicine” italiane. Per questo il Gruppo di Gambellara punta a fare della Cantina Oltrenero, l’ex Tenuta Il Bosco di Zenevredo alle porte di Pavia e a soli 40 chilometri da Milano, un centro spumantistico di qualità. Acquistata nel 1987 dalla Famiglia Zonin che ha espanso la superfice vitata da 30 ai 104 ettari attuali, di cui 84 vitati, Oltrenero porterà progressivamente a termine la produzione di quei vini che un tempo fecero la fortuna di questa zona (Croatina, Bonarda, Barbera, Riesling e Moscato) e che oggi invece il mercato percepisce come di scarso “appeal”, sostituendoli con il Pinot Nero per far crescere la produzione di bollicine di qualità. Produzione, sovraintesa da un paio d’anni da Paolo Tealdi, oggi rappresentata da tre Pinot Nero Docg in purezza: un Brut che affina almeno 30 mesi sui lieviti, un Brut Nature che riposa in bottiglia per circa 48 mesi, e un Cruasé che di mesi ne fa 36, a cui si aggiunge la “Cuvée Emme”, un VSQ 100% Pinot Meunier, figlia di un unico vitigno di circa due ettari. Un progetto, quello della bollicina di qualità in un territorio vocato e storicamente riconosciuto, che rientra appieno nell’idea di premiumizzazione.
Nel risultato record delle bollicine italiane, il Sistema Prosecco è stato ed è il protagonista, con una produzione che si aggira su 765 milioni di bottiglie. E il Prosecco Doc è da sempre uno degli asset importanti di Zonin, che rappresenta il 28% del fatturato totale. “Dopo una crescita pazzesca per tanti anni che nessuno si aspettava, sembra si sia arrivati ad una stabilità dei consumi: adesso il grosso del lavoro, in primis del Consorzio, e dei produttori è quello di valorizzare il brand Prosecco” spiega ad askanews Domenico Zonin, precisando che “se negli anni passati lo sforzo era concentrato sul farlo conoscere, oggi è quello di posizionarlo nella testa dei consumatori su qualche gradino più alto, in modo tale che sia un fenomeno che si preserva per tanti, tanti, anni”. Insomma una volta scemato l’effetto novità sul mercato internazionale, serve ora lavorare sul “percepito del prodotto” attraverso comunicazione, marketing e posizionamento. Sulle polemiche interne al Consorzio tra produttori della Docg Conegliano Valdobbiadene e quelli della Doc, il presidente è netto: “Il marchio è unico e si chiama Prosecco, poi ci sta che chi è di Conegliano Valdobbiadene usi anche quel nome, ma l’importante è lavorare insieme perché quello che si è notato in altre Denominazioni in anni passati, è che quando si litiga la Denominazione soffre, quindi questi attriti non fanno mai bene”.
Infine, per quanto riguarda la tendenza salutista che sta facendo capolino con prodotti low-alcol e no-alcol su alcuni mercati, primo tra i quali gli Stati Uniti, Zonin non si scompone. “Nella settore della birra è un fenomeno che esiste da anni e ora inizia con gli spirits grazie ai gin dealcolati” ricorda, sottolineando che “nel vino è una tendenza nuova ma ci sono diverse Cantine che sono partite: per adesso il mercato è molto di nicchia, si vedrà, ad oggi non si capisce ancora, noi siamo comunque usciti con uno spumante a base Glera, il “Cuvée Zero – Alcohol Free”.