Conservatori lavorano per allargare alleanze. Ciriani: Possiamo ripetere miracolo Italia

Kilkenny (Irlanda), 4 nov. (askanews) – In questo momento, raccontano, è inutile aspettarsi una risposta dalla diretta interessata. A Kilkenny, cittadina dell’Irlanda dove i Conservatori europei si sono dati appuntamento nel week end per discutere di agricoltura, la domanda serpeggia però con insistenza: Giorgia Meloni si candiderà alle Europee?

Che Fratelli d’Italia punti a fare un buon risultato è un auspicio dichiarato senza giri di parole, alla faccia di qualsiasi cautela o superstizione. “Quello che abbiamo fatto in Italia è una specie di miracolo ma che si può ripetere, lo possiamo fare anche a Strasburgo e Bruxelles”, dice il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani.

Ormai nessuno crede più alla possibilità che si possano stravolgere gli assetti europei, che si riuscirà a sostituire i Socialisti in quell’accordo con il Ppe da cui passano le scelte dei vertici delle istituzioni comunitarie. Ma l’obiettivo di fare il pienone di voti per pesare di più, facendo da traino anche ai partiti alleati negli altri Paesi, è traguardo che viene considerato a un passo. Da una parte, dunque, si lavora per allargare le alleanze: l’incontro in Irlanda è stato anche occasione per avvicinare al progetto conservatore alcuni deputati indipendenti locali, che si collocano a destra senza riconoscersi però nei due principali partiti nazionali, uno affiliato in Europa al Ppe, l’altro a Renew Europe.

Dall’altra, ovviamente, c’è la sfida per il consenso elettorale. Le Europee sono consultazioni che, basandosi su un sistema proporzionale, sono inevitabilmente uno strumento per i singoli partiti per pesarsi. Ma, di fatto, cadendo a quasi due anni dalle Politiche, rappresentano per il governo una elezione di mid term. Per questo, come spiega una autorevole esponente di Fratelli d’Italia, “prendere un voto in più di allora, con due guerre e i problemi economici che ne sono conseguiti, sarebbe un successo”. Ed è chiaro a tutti quale effetto propulsivo potrebbe avere una candidatura della premier, che peraltro è anche presidente di Ecr. A volerlo quantificare, spiegano, è almeno un 2-3% in più.

Giorgia Meloni, però, al momento viene descritta come completamente concentrata sui dossier aperti, primo tra tutti la legge di bilancio che, nel cronoprogramma fatto a palazzo Chigi non senza un certo ottimismo, dovrebbe essere licenziata intorno alla metà di dicembre. Per questo, chi ha avuto modo di parlarci, spiega che una decisione su questo punto potrà arrivare solo dopo il via libera alla manovra, forse a gennaio.

Nel frattempo, si soppesano tutte le variabili. L’impegno in campagna elettorale di un presidente del Consiglio in carica ha un illustre precedente in Silvio Berlusconi, ma si tratterebbe semplicemente di drenare voti già sapendo che non si occuperà mai quel seggio. Altro fattore su cui si ragiona nei conciliaboli di chi si sta occupando della pratica, è che una presenza di Meloni come capolista in tutta Italia, per la regola dell’alternanza, finirebbe per sfavorire le candidature femminili. Inoltre, un impegno in prima persona – viene spiegato – potrebbe far ricadere sulla sua persona anche esiti non proprio positivi di partiti alleati in altri Paesi: l’esito del voto in Spagna e Polonia, con Vox e Pis al di sotto delle aspettative, invita a mettere in guardia.

Di contro, c’è che la campagna elettorale è di solito un tonificante per esponenti cresciuti a pane e politica come Giorgia Meloni. Raccontano, per esempio, che sia rimasta molto contenta del bagno di folla di qualche giorno fa a Coldiretti. C’è un altro aspetto: una sua scelta in questo senso potrebbe spingere altri leader di partito a tentare la stessa avventura. A cominciare dai partiti del centrodestra. Con la conseguenza – inevitabile – anche di registrare i rapporti di forza tra leader alleati.

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