“Avrei dovuto essere più audace” sull’avvio dei rialzo dei tassi

Roma, 27 ott. (askanews) – “Avrei dovuto essere più audace”, afferma Christine Lagarde, e avviare i rialzi dei tassi di interesse prima di quanto stabilito dalla “forward guidance”, cioè dalle passate indicazioni prospettive sulla politica monetaria della Bce, che escludevano aumenti fino a quando non fosse stata conclusa la fase di acquisti netti di titoli. Giunta quasi a metà mandato, la presidente si racconta in una lunghissima e colorita intervista al Financial Times.

Lagarde si auto assegna un 7 su 10, in risposta alla domanda sul voto che ritiene di meritare nella conduzione dell’istituzione. “Devo mostrare autostima quindi direi 10 – scherza -. No, mi lamento così tanto della mancanza di autostima delle donne, quindi devo stare attenta a non autosvalutarmi. Direi un 7. Intanto direi che c’è stato un percorso di apprendimento molto duro. E poi ovviamente, se guardi agli indicatori di performance, non siamo al 2%” di inflazione.

L’intervista non ha particolari spunti sulla politica monetaria di strettissima attualità. Forse perché è avvenuta in prossimità della riunione del Consiglio direttivo di ieri e i componenti del direttorio sono tenuti al silenzio, sui temi collegati a tassi e linea monetaria, nei 7 giorni che precedono le decisioni.

Invece è molto carica di episodi personali, di vita vissuta e procede tra continue e minuziose descrizioni – che tanto piacciono ad alcune testate anglosassoni – sull’esperienza culinaria che l’ha accompagnata: il colloquio si è svolto a un rinomato caffè di Francoforte. E il giornalista esordisce parlando del barattolo di marmellata di pompelmo fatta in casa (la villa vacanze in Corsica) che la banchiera centrale gli regala, mettendolo in imbarazzo.

E sparpagliati tra queste disgressioni ci sono anche aneddoti curiosi sulla recente storia dell’istituzione. Ad esempio quando Lagarde racconta che Fabio Panetta, componente uscente del Comitato esecutivo e governatore designato della Banca d’Italia (entra in caricva il primo novembre), si presentò “con una crostata di frutta e una torta al cioccolato” (acquistati nello stesso caffè dell’intervista) alla riunione di emergenza che, in piena emergenza Covid, si svolse nella cucina di Lagarde, in cui vennero decise le basi del piano di acquisti anticrisi Pepp.

Oppure quando riporta i due episodi che ritiene abbiano maggiormente segnato la sua esperienza per capire “quanto pesanti e pericolose” possano essere le parole di un banchiere centrale.

Uno è lo scivolone sullo spread dell’Italia, quando rispondendo a chi le chiedeva se fosse preoccupata dall’allargarsi del differenziale tra titoli di Stato italiani e tedeschi rispose “non siamo qui per chiudere gli spread”. Frase che innescò una impennata di rendimenti e differenziali, un coro di critiche e accese proteste da parte delle istituzioni italiane, e che costrinse la stessa Bce, a più livelli, a drastiche correzioni del tiro in poche ore. “Tecnicamente era vero, ma semplicemente non era…” il modo di esprimerlo.

La presidente racconta di essersi successivamente confrontata su questo incidente con il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, con il segretario al Tesoro americano, Janet Yellen e con l’ex governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, e che tutti le hanno riferito aver sperimentato episodi simili.

L’altro episodio è il celebre “whatever it takes” di Mario Draghi, quando nel 2012 il suo predecessore, durante una conferenza a Londra, usando questi termini – che preludevano al varo dello scudo antispread Omt – innescò un marcata risposta dei mercati nella direzione voluta. Lagarde, che era presente, racconta che un assistente trafelato venne subito dopo a riferire a Draghi che i mercati si stavano muovendo e che il banchiere centrale rispose con un “oh, davvero?”, a significare che era esattamente quello a cui puntava.

Passando più all’attualità, sul conflitto in Medioriente innescato dall’attacco terroristico di Hamas contro Israele “dobbiamo stare attenti. Potrebbe non svilupparsi con le stesse modalità della guerra del 1973, potrebbe essere diverso”, rispetto alla crisi petrolifera che seguì la guerra dello Yom Kippur. E l’Europa ha una “vulnerabilità intriseca” a questi shock, rileva la presidente, per via della sua economia aperta che dipende dal commercio estero.

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