Pulina: rivedere metriche per calcolare impatto settore agricolo

Milano, 24 ott. (askanews) – Il settore zootecnico europeo rappresenta il 38,5% dell’intero comparto agricolo per un valore di 206 miliardi di euro e circa 4 milioni di addetti. In questa fase storica è al centro di una sfida che vede da un lato gli impatti ambientali delle sue attività dall’altro quelli economici. Proprio i temi al centro del libro “Meats and cured meats: the new frontiers of sustainability”, scritto da Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina e presentato al Parlamento europeo. Il volume è edito, in formato open access, da Franco Angeli con il contributo di Carni Sostenibili, organizzazione no profit che riunisce le associazioni dei produttori di carni e salumi italiani.

Considerando il bilancio delle emissioni dei gas e il sequestro di carbonio dei sistemi rurali, il settore agricolo europeo peserebbe, secondo nuove metriche, per il 4,6% del totale. Sugli impatti ambientali del settore si è espresso Giuseppe Pulina, professore di Etica e sostenibilità degli allevamenti all’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili. “L’intero comparto agricolo in Europa ha ridotto le proprie emissioni di oltre il 18% tra il 1990 e il 2021”. L’argomento su cui fa leva Pulina è che l’agricoltura oltre a emettere carbonio, contemporaneamente lo sequestra. Per questo motivo ritiene che quando si parla di zootecnia, non si debba parlare di sole emissioni climalteranti, ma di bilancio fra queste e sequestro di carbonio da parte degli agroecosistemi. “Ma vi è di più – aggiunge – in questi anni si è evidenziata la necessità di sviluppare nuove metriche per calcolare le emissioni, capaci di tenere in considerazione la tipologia di gas climalteranti e della loro permanenza in atmosfera”. Già nel 1990 l’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, affermava che tutte le metriche fino ad allora utilizzate presentavano limitazioni e incertezze. Per questo un team di fisici dell’atmosfera dell’Università di Oxford ha proposto la revisione delle metriche. “Così ricalcolate, le emissioni dell’intero settore agricolo europeo peserebbero non l’11,8% o il 4,6% se compensate dai riassorbimenti del totale, ma diventerebbero addirittura negative – sostiene Pulina – Lo studio dei ricercatori di Oxford prende in considerazione per la prima volta la differenza tra gli inquinanti climatici a vita breve, quale il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga, quale l’anidride carbonica e le nuove metriche tengono conto di questa differenza, una differenza sostanziale se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica permane in atmosfera per circa mille anni”.

Il volume contiene anche un punto anche su carne e nutrizione a cura di Elisabetta Bernardi, nutrizionista, biologa e specialista in Scienze dell’alimentazione: “Recenti studi permettono di valutare la qualità delle proteine negli alimenti in rapporto al fabbisogno degli esseri umani. Se è vero che i prodotti di origine animale apportano solo il 18% delle calorie, essi contribuiscono per il 34% delle proteine e per il 55% degli aminoacidi essenziali. Questi ultimi sono parametri chiave nella valutazione della qualità degli alimenti”. Secondo Bernardi “l’impronta ecologica degli alimenti di origine animale è pressoché simile o addirittura inferiore a quella relativa alla produzione di proteine vegetali, a eccezione della soia, che però non è nella tradizione mediterranea”.

Sul tema della sostenibilità degli allevamenti italiani torna anche Ettore Capri, professore di Chimica agraria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che fa un punto sul modello italiano. “Negli ultimi anni – dice Capri – abbiamo assistito a una progressiva presa di coscienza del comparto che ha metodicamente provveduto a rigenerare le risorse e a diminuire gli scarti”. Oggi l’Italia è il quarto produttore al mondo di biogas e secondo in Europa dopo la Germania. Nello stesso senso va lo sviluppo delle attività di carbon farming: “Si tratta di una serie di pratiche agricole volte alla produzione alimentare – spiega ancora Capri – che nel contempo sono in grado di sequestrare con maggiore efficienza il carbonio atmosferico. È un processo naturale ecosistemico che l’allevamento del bestiame intensifica grazie al ruolo primario svolto dalla produzione di sostanza organica”.

“Oggi il settore zootecnico europeo è al centro della sfida ambientale – ha detto nel suo intervento Salvatore De Meo, presidente della commissione Affari costituzionali e membro della commissione Agricoltura – ma la transizione va perseguita in maniera pragmatica, non impositiva e soprattutto non ideologica. La sostenibilità, che è l’obiettivo verso cui bisogna continuare a tendere, deve necessariamente essere coniugata con lo sviluppo economico e produttivo. Le imprese e i cittadini vanno aiutati e accompagnati sulla strada della transizione verde. L’auspicio è che la prossima legislatura si muova su questa strada, riconoscendo l’enorme valore che tutto il comparto agricolo europeo esprime anche nella lotta ai cambiamenti climatici e alla transizione verde”.

“La risposta alla domanda di sostenibilità non può essere quella di smantellare le attività agricole e delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo”, ha detto Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia che torna a ribadire i suoi timori sul consumo di carne coltivata, facendo leva sulla mancanza di studi “necessari che dicano che il consumo di questo prodotto, addizionato di ormoni, antibiotici e antimicotici necessari per farla crescere, non comporti rischi”.

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