Separazione anche in Parlamento. Inizia partita ‘strascichi’ con regolamenti alla mano. La Russa tenta estrema conciliazione
Roma, 19 ott. (askanews) – Matteo Renzi manda l’avviso di sfratto a Carlo Calenda e il divorzio tra i due, dopo mesi di “telenovela”, è di fatto conclamato. Anche in Parlamento. Con la campagna elettorale per le europee sempre più vicina, il ‘loro’ Terzo Polo è morto e sepolto e Renzi ha rotto gli indugi formalizzando, la separazione tra Azione e Italia Viva anche nell’ultimo scampolo di convivenza forzata: i gruppi parlamentari unitari che erano nati all’indomani dalle Politiche quando la coppia si era presentata con un unico simbolo a racchiuderne due.
Di prima mattina sulla e-news Renzi scrive: “Abbiamo provato fino all’ultimo a chiedere di fare la lista insieme – spiega – e la risposta di Calenda è stata sprezzante. Dunque auguri a tutti e ognuno per la sua strada. Meglio finire questa telenovela che farci ridere dietro da mezza Italia”. Poche ore dopo, inizia la riunione del gruppo Az-Iv in Senato, convocata dal renziano Enrico Borghi, e Calenda e i suoi disertano. Iv ha la maggioranza e il risultato è che viene approvato il cambio del nome del gruppo da Azione-ItaliaViva-RenewEurope in Italia Viva – Centro – RenewEurope. Di fatto, uno sfratto: il nome ‘Azione’ viene cancellato e i senatori di Calenda, quattro su 11, rischiano ora di finire al gruppo Misto.
La reazione di Calenda è inizialmente furiosa, dice che si rivolgerà al presidente del Senato Ignazio La Russa perché, sostiene, Renzi ha annunciato la separazione a mezzo stampa senza che sia stata realmente deliberata, mentre sul cambio di nome, accusa, è stato violato lo Statuto: “agiremo in tutte le sedi preposte. Altri commenti su questa vicenda ridicola e caricaturale non sono necessari”, attacca. Poi, nel pomeriggio, prende atto degli esiti della manovra messa in campo da Renzi e si dice disponibile “ad accettare la richiesta di sciogliere i gruppi” ma, osserva, finora “nessuna formalizzazione di questa volontà è arrivata da Iv. In soldoni Renzi non ha mai chiesto di sciogliere i gruppi se non a mezzo stampa. Cambiamenti di nome in violazione dello Statuto e altri giochini infantili, non sono invece accettabili. Cerchiamo di chiudere questa storia presto, bene e in modo il più possibile decoroso. Non mi pare il momento di riaprire polemiche inutili”.
Neanche mezz’ora dopo, la formalizzazione arriva: i deputati di Italia Viva del gruppo Az-Iv a Montecitorio inviano una lettera al presidente della Camera Lorenzo Fontana chiedendo di poter “costituire il gruppo parlamentare ‘Italia Viva – Il Centro – Renew Europe’ a far data dal primo novembre 2023, in continuità con il gruppo ‘Italia Viva-Italia C’è’, già costituito nella precedente legislatura” e “segnalando” che “il medesimo gruppo risulta già costituito al Senato”. Contestualmente Borghi scrive al presidente del Senato per comunicare il cambio “della denominazione” del gruppo a Palazzo Madama. In serata, arriva una nota della presidenza del Senato che informa di un tentativo in extremis di “componimento amichevole” del presidente Ignazio La Russa con la convocazione di una riunione per mercoledì prossimo e comunica che è stato disposto un “approfondimento sulla vicenda con riguardo agli aspetti regolamentari” dopo che i senatori di Azione hanno definito ‘palesemente illegittima’ la decisione di cambiare il nome al gruppo. Ma lo strappo di oggi è netto e i divorzi turbolenti hanno strascichi e conseguenze imprevedibili. Si apre ora la partita delle pratiche di divorzio e ciascuno giocherà la sua. Provando anche a drenare qualche new-entry da altri partiti. I regolamenti di Camera e Senato prevedono un numero minimo di parlamentari: 20 a Montecitorio e 6 in Senato anche se sono previste deroghe, tutte da verificare, per evitare di andare nel gruppo Misto. In Senato su 11 senatori, Renzi ne ha sette (contando Dafne Musolino che arriva da Sud chiama Nord) e Calenda quattro. Alla Camera è Calenda in vantaggio: su 21 deputati, può contare sui suoi dieci più Elena Bonetti ed Ettore Rosato che hanno detto addio a Renzi e oggi hanno presentato l’associazione ‘Per’ (Popolari Europeisti Riformatori). Sul tavolo, poi, non da ultimo, la spartizione di risorse e mezzi, locali, attrezzature, contributi derivanti da quel quasi 8% ottenuto alle Politiche e su cui voleranno gli stracci.