Nel libro “Le ossa dei Caprotti” racconto inedito del padre Bernardo

Milano, 17 ott. (askanews) – Ci sono la Cia, la salma di un santo, San Valerio, una passione per i cimiteri, mercedes nere, perizie psichiatriche. E una frase: “Pensavo che ti saresti sparato”, che sembra il terribile timore di un padre per le sorti del figlio, ma che il figlio di questa storia, Giuseppe Caprotti, primogenito di Bernardo e patron dei supermercati Esselunga, chiarisce subito: “Era solo una constatazione e lo dico sinceramente, senza astio alcuno. Io ormai sono andato oltre: mio padre non mi ossessiona, Esselunga non mi ossessiona. Io non credo temesse che potessi spararmi”.

Giuseppe Caprotti parla per più di un’ora, commuovendosi più volte, nella sua villa di Albiate, in Brianza dove c’è stata una fase della sua vita in cui ha vissuto col padre. Lo fa in occasione della presentazione del suo “Le ossa dei Caprotti”, edito da Feltrinelli, “un libro storico, un saggio documentato – dice lui stesso del volume di quasi 400 pagine scritto in quasi cinque anni – con documenti spesso inediti pubblicati dopo il lockdown che mi ha colpito dal 2004”, anno in cui viene allontanato dall’azienda da suo padre senza mai poterci fare ritorno.

“L’ho scritto perché per 20 anni, da quando sono uscito malamente dalla mia azienda, ho sentito di tutto, sono anche stato bersagliato da notizie direi assolutamente create ad arte e ho deciso di rispondere con un saggio documentato – spiega – l’ho fatto per i miei figli perchè secondo me non hanno idea di cosa mi sia successo come non la hanno tantissime persone. E poi sono stato accusato di mala gestione e dal libro si evince che non è assolutamente vero”.

Nel libro – che inizialmente doveva intitolarsi “Pensavo che ti saresti sparato” “ma era sbagliato – ha detto – col tempo uno deve imparare a convivere con quello che è stato astio, forse anche odio, e adesso non è più così. Non volevo che questa fosse la storia di rapporti di famiglia tra due persone, va ben oltre” – l’ex ad di Esselunga sostiene che Bernardo Caprotti non sia stato l’artefice della nascita dell’insegna della grande distribuzione: a fondarla fu un gruppo di manager americani capitanati dal magnate Nelson Rockefeller, consigliato a sua volta da James Hugh Angleton, collaboratore dei servizi segreti dell’Oss dopo lo sbarco degli americani in Italia. Una novità che nel libro si affianca a una figura chiave, quella del patron di Finiper, Marco Brunelli, trait d’union tra Rockefeller con i soci italiani e primo presidente della Supermarkets Italiani. C’è poi molto di Bernardo, personaggio chiave degli anni ’60, ’70 e ’80, fino ad arrivare al contributo dei figli di primo letto di Bernardo, Giuseppe e Violetta, autori delle innovazioni in azienda negli anni ’90 e inizi anni 2000: dai superstore al bio e all’e-commerce, passando dalla Fidaty fino a pubblicità storiche come “John Lemon”.

Questa, dice Giuseppe Caprotti, “è una storia di grandi famiglie e di cosa non fare nelle grandi famiglie, nelle famiglie in generale”. Ne esce un ritratto, a tratti intimo, di un padre, che lui chiama per lo più Bernardo. Colui che “la domenica da bambini ci portava a San Bernardino alle ossa” chiesa nota per le sue pareti quasi interamente ricoperte di teschi e ossa. Le liti costellano i numerosi capitoli, gli aneddoti in essi contenuti a tratti sono duri e dolorosi come quello delle mercedes nere, simbolo della cacciata dello stesso Caprotti dall’azienda di famiglia. “Quelle quattro Mercedes nel cortile avevano un che di sovietico – ricostruisce oggi Giuseppe – Un giorno ricevetti una telefonata dal direttore del personale con cui mi avvisava di una riunione di tutti i dirigenti e i quadri convocata da Bernardo. Io ero amministratore delegato in quel periodo ma lui mi bypassava in lungo e in largo. Il giorno della riunione arrivo in sede, mi chiama e dice che non c’è nessuna riunione e nella sala delle notifiche mi informa che ha licenziato tre persone che riportavano a me. La cosa incredibile era che erano tre persone per quattro Mercedes. Allora poco dopo gli chiesi se la quarta fosse per me. Lui mi disse ‘non ancora’. Io rimasi choccato, non sapevo più dove fossi. Il giorno dopo andai via lasciando lì tutte le mie cose che non ho mai recuperato”.

Comincia allora quello che definisce “il mio lockdown”, ma assicura che “C’è stato un periodo in cui io e Bernardo avevamo un buon rapporto” e che insieme si sono anche “divertiti” come il giorno che conquistano la prima pagina del Wall Street Journal per una denuncia della Coca Cola all’antitrust.

Non fa mai riferimenti a Marina, sorella di secondo letto di suo padre, se non per un breve accenno di tenera fratellanza, nè all’Esselunga di oggi se non quando dice che “se la avessi avuta io me la sarei assolutamente tenuta”. “Dell’altra parte della famiglia non si parla, nè dell’attività. Io rispetto le decisioni che hanno preso, a me con questo libro importava raccontare la storia della famiglia, di Esselunga a cui si intreccia la mia: 20 anni non sono pochi, se poi si aggiunge anche quello che c’è stato dal 2004 al 2020”, afferma, riconosce a suo padre anche meriti imprenditoriali. Certo la sua educazione l’ha segnato come figlio – “A Natale al posto di Jingle Bells ci faceva ascoltare i discorsi del duce anche se non era fascista” – e questi segni si sono riverberati nel suo ruolo di padre con i tre figli: “Nella famiglia trovare uno di buon carattere non è proprio facile – ammette con commozione – All’inizio sicuramente ho commesso gli stessi sbagli, non sono stato un padre sicuramente presente e ho preso di petto soprattutto il mio primo genito poi ho capito gli sbagli e ho cambiato rotta”.

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