Blinken a Tel Aviv. Biden pensa a visita. Cina: subito de-escalation
Roma, 16 ott. (askanews) – Nessuna tregua umanitaria nel Sud della Striscia di Gaza. Con una nota ferma e stringata, l’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha smentito le notizie di un cessate il fuoco di cinque ore al confine tra il territorio palestinese e l’Egitto, per consentire l’ingresso di aiuti e l’uscita di cittadini stranieri attraverso il valico di Rafah. La notizia di un’apertura di quest’area di transito strategica, alle 9 locali (le 8 in Italia), era stata fatta circolare dai media israeliani, citando fonti militari. Ma il ministro degli Esteri del Cairo, Sameh Shoukry, ha negato, precisando che Israele deve ancora prendere una decisione in proposito. Nel frattempo, però, centinaia di persone hanno raggiunto il valico in attesa di attraversare il confine, incoraggiate dall’ambasciata americana nello Stato ebraico che ha comunicato, con grande cautela, che sempre dalle 9 sarebbero stati autorizzati l’ingresso degli aiuti e la partenza di alcuni residenti di Gaza verso l’Egitto.
Misure limitate, per alleviare l’emergenza umanitaria nella Striscia sotto assedio e probabilmente per fare uscire anche persone con doppia cittadinanza, presto smentite – quasi in contemporanea – sia da Israele che da Hamas, accusato dai militari dello Stato ebraico di detenere 199 ostaggi. “Al momento non esiste un cessate il fuoco per gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e per l’uscita degli stranieri”, ha comunicato l’ufficio di Netanyahu. “Fino ad ora non abbiamo ricevuto alcun contatto o conferma da parte delle autorità egiziane riguardo all’intenzione di aprire oggi il valico di Rafah. Tutte le informazioni che circolano a questo riguardo sono attribuite ai media israeliani”, ha detto da parte sua Salama Marouf, capo dell’ufficio stampa del governo del movimento estremista palestinese.
Intanto, l’operazione di terra israeliana a Gaza sembra poter iniziare a breve: l’esercito ha diffuso un video in cui si dichiara “pronto alla nuova fase”, mentre Netanyahu ha convocato per stasera alle 20 (le 19 italiane) una riunione del gabinetto di sicurezza. Il territorio controllato da Hamas, d’altra parte, è da giorni nel mirino di bombardamenti che hanno convinto centinaia di migliaia di palestinesi a spostarsi verso Sud, in condizioni di assoluta precarietà. Secondo l’Onu, gli ospedali di Gaza hanno riserve solo “per altre 24 ore”, mentre il ministero della Sanità nella Striscia ha aggiornato stamane il bilancio delle vittime ad almeno 2.750. I feriti hanno superato quota 9.700.
Il movimento islamista, da parte sua, continua a lanciare razzi sulle comunità del Sud di Israele e in mattinata si sono ripetutamente attivate le sirene di allarme a Sderot, Ashkelon e Ashdod. Sul fronte opposto, invece, l’esercito dello Stato ebraico ha annunciato l’arresto di 360 palestinesi anche in Cisgiordania: 210 di questi sarebbero affiliati al gruppo estremista.
Sul piano diplomatico, proseguono gli sforzi per una de-escalation. In Israele dovrebbe arrivare domani il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il capo del governo di Berlino ha l’obiettivo di fare il punto anche sulla situazione degli ostaggi: almeno 8 tedeschi sarebbero in mano ad Hamas, mentre secondo l’esercito israeliano sarebbero 199 in totale le persone trattenute con la forza dal movimento estremista palestinese.
E anche il presidente Joe Biden starebbe valutando la possibilità di un viaggio in Israele nei prossimi giorni, anche se non c’è ancora una decisione finale. Secondo il quotidiano libanese Al-Akhbar, gli Usa avrebbero offerto aiuti umanitari ad Hamas in cambio del rilascio di ostaggi civili. Il giornale di Beirut ha precisato che Hamas ha posto diverse condizioni, in particolare di avere contezza di quali tra i rapiti siano cittadini stranieri e su chi ha prestato servizio nell’esercito israeliano.
Oggi, comunque, mentre decine di cittadini americani si sono messi in fila ad Haifa per imbarcarsi su una nave per la loro evacuazione da Israele verso Cipro, è tornato a Tel Aviv il segretario di Stato Antony Blinken. L’obiettivo è trovare spiragli di riduzione nel conflitto scoppiato con i sanguinosi attacchi di Hamas e sfociato in un assedio alla Striscia di Gaza dalle conseguenze devastanti in termini umanitari e imprevidibili sugli sviluppi regionali. “Siamo al fianco di Israele mentre si difende. Gli Stati Uniti stanno anche lavorando attivamente per garantire che la popolazione di Gaza possa uscire dal pericolo e che l’assistenza di cui ha bisogno – cibo, acqua, medicine – possa arrivare. Ad Hamas non importa se i palestinesi soffrono”, ha scritto oggi su X il capo della diplomazia di Washington.
In una intervista a Cbs 60 Minutes, Biden ha messo in chiaro di ritenere che Hamas vada eliminato, e quindi Israele deve “rispondere” e “dare la caccia” agli estremisti. Allo stesso tempo, ha però evidenziato, sarebbe un “grande errore” rioccupare Gaza. Alla domanda se fosse d’accordo con un “assedio totale” di Gaza, Biden ha detto di essere fiducioso che Israele agirà nel rispetto delle regole di guerra e che ci sarà “la possibilità per gli innocenti di Gaza di avere accesso a medicine, cibo e acqua”.
Una visita dell’inquilino della Casa Bianca in Israele, fanno notare anche i media israeliani, darebbe l’opportunità a Biden di affermare personalmente al popolo israeliano che gli Stati Uniti sono fermi al suo fianco. Ma avverrebbe tra i crescenti timori che un imminente intervento israeliano a Gaza possa scatenare una guerra più ampia; in particolare la presenza di Biden potrebbe essere vista come una mossa provocatoria da parte dell’Iran, e poco gradita alle nazioni arabe mentre le vittime civili aumentano a Gaza. Non a caso Biden ha sottolineato che non ci sono “prove evidenti” che l’Iran sia dietro gli attacchi terroristici in Israele compiuti da Hamas all’inizio del mese.
Continua a muoversi, infine, anche la Cina. Il ministro degli Esteri Wang Yi ha detto, in un colloquio telefonico con il suo omologo di Teheran, che “il diritto del popolo palestinese a diventare uno Stato è stato a lungo messo da parte”: si tratta di “un’ingiustizia storica che deve finire il prima possibile”, ha sottolineato. In un punto stampa congiunto a Pechino con l’omologo russo Sergey Lavrov, Wang Yi ha poi definito un “imperativo” l’attuazione di un cessate-il-fuoco, il ritorno “al tavolo dei negoziati” e l’istituzione di “un canale umanitario di emergenza”, chiedendo “un intervento” e “un ruolo attivo” del Consiglio di sicurezza Onu e delle grandi potenze mondiali. (di Corrado Accaputo)